Il Papa telefona al parroco di Catania autore del volume “Salviamo la famiglia”

Città del Vaticano 26 ottobre 2013. Il Santo Padre Papa Francesco incontra le Famiglie.
Città del Vaticano 26 ottobre 2013. Il Santo Padre Papa Francesco incontra le Famiglie.

Era già avvenuto nel mese luglio dello scorso anno quando Papa Francesco ha telefonato a don Antonio Legname, parroco a Catania, a seguito della pubblicazione del volume “Francesco il traghettatore di Dio -Sulla rotta del Concilio, tra continuità e novità. Una bussola per i lontani”, una summa di dottrina cattolica di “ecclesiologia popolare” che dà voce al magistero di Papa Francesco. In quell’occasione il Papa ha detto a don Legname: “Volevo scriverle due parole per ringraziarla, ma poi ho preferito telefonare; sono contento, non perché ha scritto su di me, ma perché ha scritto sulla Chiesa e ha fatto questa ecclesiologia dal basso. A partire dal popolo. Sì bisogna far parlare il popolo … perché l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere”. La stessa emozione si è ripetuta domenica scorsa, come dichiara lo stesso parroco in un comunicato ai suoi parrocchiani: “Oggi, 28 giugno, alle ore 16.28, ho ricevuto la telefonata del Santo Padre, Papa Francesco, sul mio cellulare con numero sconosciuto. Il Santo Padre mi ha voluto ringraziare per la pubblicazione del libro ‘Salviamo la famiglia, tesoro e patrimonio dell’umanità – Dialogando con Papa Francesco sull’ecologia umana dell’ambiente familiare’”. Il volume condensa in 450 pagine un dialogo virtuale con il Papa sui problemi della famiglia oggi, e costituisce quasi un approfondimento dell’Instrumentum laboris consegnato ai Vescovi in preparazione al Sinodo di ottobre sul tema: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Nel corso della telefonata come dichiara lo stesso parroco, il Pontefice ha chiesto: «Don Antonio ma da dove prende tutte queste ispirazioni per scrivere?». E lui ha risposto: “Le prendo dalla vita quotidiana della gente e dagli insegnamenti quotidiani di Vostra Santità, che per me sono fonte continua di riflessione e di ispirazione”. Papa Francesco ha molto apprezzato il lavoro prodotto, ritenendolo una “interessante sintesi”, ricca di “tanti spunti presi dalla vita reale”. “Questo è un libro che può aiutare la gente a capire tante questioni”, ha affermato il Santo Padre. L’uso del linguaggio semplice e colloquiale caratterizza, infatti, il libro nel quale il giovane Thomas intervista in maniera virtuale Papa Bergoglio sulle problematiche della famiglia di oggi, traendo spunto dalle sua esperienza di bambino che spesso chiedeva alla mamma (divorziata risposata): “Perché non fai comunione anche tu?”, ed ella mortificata rispondeva: “Chiedilo al Papa”. Le parole virgolettate nell’intervista virtuale sintetizzano il ricco magistero di Papa Francesco sulla famiglia attraverso parole come “accoglienza, attenzione, misericordia”, caratterizzando l’azione pastorale che anima e guida il prossimo Sinodo, pur mantenendo fermi i principi e i valori dell’indissolubilità del matrimonio. La telefonata si è conclusa con la domanda di don Antonio: “Posso dire ai miei parrocchiani che mi ha telefonato il Papa?”. E Francesco ha risposto «Può dire alla sua comunità parrocchiale che le ho telefonato e che benedico tutti». Grande la gioia e l’emozione dei fedeli a seguito della comunicazione del sacerdote, i quali numerosi la domenica precedente (21 giugno), al termine della Messa, avevano partecipato alla presentazione del volume alla presenza dell’arcivescovo di Catania, mons. Salvatore Gristina, che ha anche firmato la prefazione dei due volumi. Nel corso della presentazione, avvenuta nel modo originale di “intervista all’autore”, sono emerse tutte le problematiche connesse alle emergenze familiari: dalla bellezza del matrimonio alle difficoltà di relazione nelle coppie; dalla preparazione al matrimonio come rito e sacramento alle problematiche delle separazioni, dei divorzi e della richiesta di nullità matrimoniali; dalla diffusione delle “colonizzazioni ideologiche” delle teorie gender, alle unioni civili e tra persone dello stesso sesso. Queste due ultime tematiche, collocate come “appendici” al volume, costituiscono nuovi campi di approfondimento sul tema della famiglia, che come “patrimonio dell’umanità” necessita di cure attenzioni sociale e sostegni politici e non formule di apparente progresso che determinano lo sfaldamento della solida base della società umana. Le esortazioni “salviamo e difendiamo la famiglia”, contenute nel volume, tendono ancora una volta ad affermare che la famiglia, pietra d’angolo e fondamento della società, costituisce il centro, il cuore e il motore del mondo, ancora di salvezza e garanzia di futuro.

Gender-difendiamo la famiglia

“GENDER”…Cosa dice Papa Francesco?!

Gender-difendiamo la famiglia

La Famiglia – 10. Maschio e Femmina (I)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La catechesi di oggi è dedicata a un aspetto centrale del tema della famiglia: quello del grande dono che Dio ha fatto all’umanità con la creazione dell’uomo e della donna e con il sacramento del matrimonio. Questa catechesi e la prossima riguardano la differenza e la complementarità tra l’uomo e la donna, che stanno al vertice della creazione divina; le due che seguiranno poi, saranno su altri temi del Matrimonio.

Iniziamo con un breve commento al primo racconto della creazione, nel Libro della Genesi. Qui leggiamo che Dio, dopo aver creato l’universo e tutti gli esseri viventi, creò il capolavoro, ossia l’essere umano, che fece a propria immagine: «a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27), così dice il Libro della Genesi.

E come tutti sappiamo, la differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi. Ma solo nell’uomo e nella donna essa porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio: il testo biblico lo ripete per ben tre volte in due versetti (26-27): uomo e donna sono immagine e somiglianza di Dio. Questo ci dice che non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio.

L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. Siamo fatti per ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco in questa relazione – nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede – i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna.

La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti.

 

Vorrei esortare gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta.

Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza. I segnali sono già preoccupanti, e li vediamo. Vorrei indicare, fra i molti, due punti che io credo debbono impegnarci con più urgenza.

Il primo. E’ indubbio che dobbiamo fare molto di più in favore della donna, se vogliamo ridare più forza alla reciprocità fra uomini e donne. E’ necessario, infatti, che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e nella Chiesa. Il modo stesso con cui Gesù ha considerato la donna in un contesto meno favorevole del nostro, perché in quei tempi la donna era proprio al secondo posto, e Gesù l’ha considerata in una maniera che dà una luce potente, che illumina una strada che porta lontano, della quale abbiamo percorso soltanto un pezzetto. Non abbiamo ancora capito in profondità quali sono le cose che ci può dare il genio femminile, le cose che la donna può dare alla società e anche a noi: la donna sa vedere le cose con altri occhi che completano il pensiero degli uomini. E’ una strada da percorrere con più creatività e audacia.

Una seconda riflessione riguarda il tema dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio. Mi chiedo se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna. In effetti il racconto biblico, con il grande affresco simbolico sul paradiso terrestre e il peccato originale, ci dice proprio che la comunione con Dio si riflette nella comunione della coppia umana e la perdita della fiducia nel Padre celeste genera divisione e conflitto tra uomo e donna.

Da qui viene la grande responsabilità della Chiesa, di tutti i credenti, e anzitutto delle famiglie credenti, per riscoprire la bellezza del disegno creatore che inscrive l’immagine di Dio anche nell’alleanza tra l’uomo e la donna. La terra si riempie di armonia e di fiducia quando l’alleanza tra uomo e donna è vissuta nel bene. E se l’uomo e la donna la cercano insieme tra loro e con Dio, senza dubbio la trovano. Gesù ci incoraggia esplicitamente alla testimonianza di questa bellezza che è l’immagine di Dio

 

120 Rabbini alla Domus Galilaeae in dialogo con vescovi e cardinali

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È stato un evento senza precedenti quello che si è svolto dal 4 al 7 maggio nella Domus Galilaeae, in Israele. Nella “casa” di spiritualità gestita dal Cammino Neocatecumenale sul Monte delle Beatitudini, 120 rabbini da tutto il mondo, 7 Cardinali e 20 Vescovi si sono ritrovati fianco a fianco a danzare, cantare insieme lo Shema, ascoltare una parola e rinforzare i reciproci rapporti.

L’occasione è stato il primo incontro internazionale che il Cammino Neocatecumenale, guidato da Kiko Argüello, ha voluto organizzare in occasione del 50° anniversario della Nostra Aetate e in ricordo del 70° anniversario della fine della Shoah. L’iniziativa ha ricevuto l’incoraggiamento della Santa Sede e lo stesso Papa Francesco ha espresso la sua vicinanza attraverso un messaggio in cui ha esortato i due popoli a proseguire sulla via della ritrovata fraternità.

“Porgo i miei saluti a tutti voi che partecipate a questo incontro, e vi assicuro della mia vicinanza spirituale. Spero che il vostro incontro sarà un’occasione per rafforzare i vincoli di fraternità che condividete, e per approfondire il vostro impegno per far conoscere il grido degli innocenti attraverso il linguaggio della musica”, ha scritto il Pontefice.

Proprio la musica è stata il fulcro del grande raduno, con l’esecuzione de “La sofferenza degli Innocenti”, la Sinfonia composta da Argüello nel 2012, con la quale l’iniziatore del Cammino ha voluto trasformare in note le lacrime e le grida di dolore del popolo ebraico che ha visto morire i propri figli nell’Olocausto, attraverso il parallelo con Maria dolente ai piedi della croce. Kiko ha parlato infatti della composizione come di “un atto di amore e di riconciliazione” con gli ebrei, i quali, a loro volta, hanno apprezzato questa mano tesa dal Cammino rispondendo sempre con entusiasmo.

Lo dimostravano le oltre 15.000 persone presenti al concerto sinfonico-catechetico eseguito davanti alla “porta della morte” di Auschwitz nel giugno 2013, durante il quale il rabbino David Rosen aveva affermato: “Questo è il giorno della riscoperta della nostra fraternità”. Ancor prima il Cammino Neocatecumenale aveva presentato l’opera sinfonica nel 2012 a Boston e poi nel prestigioso Lincoln Center di New York di fronte a 3000 ebrei e decine di rabbini.

Quindi è stata riproposta nella convivenza di questi giorni, eseguita dal Coro e dall’Orchestra del Cammino Neocatecumenale, in una celebrazione presieduta dal cardinale Pell, davanti ad un pubblico che si è detto commosso e più volte ha manifestato la sua emozione sia nel ricordare le vittime della Shoah, sia nel vedere qualcuno in grado di comprendere la propria viscerale sofferenza.

Anche il Papa, nel proseguio del messaggio, ha scritto: “Unito a voi prego il Signore che ascolti questo grido e che guarisca le afflizioni di tutti quelli che soffrono. Così anche io prego che i cuori siano aperti all’invocazione degli innocenti in tutto il mondo”.

Oltre ai rabbini e ai cardinali – tra cui: Pell, Rylko, Schönborn, Toppo, Cordes, Yeom Soo-jung e Romeo – erano presenti diverse personalità del mondo accademico, dell’arte e della cultura di entrambe le confessioni religiose, insieme naturalmente a numerosi catechisti itineranti dell’itinerario neocatecumenale e presbiteri. In totale erano circa 400 persone.

Chi ha partecipato afferma di essersi trovato “in qualcosa più grande di noi” e lo stesso Kiko ha detto che i frutti della convivenza sono stati “superiori alle nostre aspettative”. Non da meno i rabbini presenti, che hanno redatto un comunicato finale per ringraziare pubblicamente il Cammino per i quattro giorni di incontro e confronto.

Tutti i capi ebraici sono venuti alla Domus Galilaeae ad occhi chiusi, senza aver ricevuto prima un programma e senza capire cosa, di fatto, sarebbe successo nel raduno. La fiducia è stata ripagata: nell’ultimo giorno, nel descrivere la loro esperienza dell’incontro, si sono detti sorpresi di riconoscere la presenza di Dio in una comunione così meravigliosa. “È stato un incontro storico. Mai nell’ebraismo avevamo riunito tanti rabbini di tutte le diverse espressioni: ortodossi, conservatori, riformati, ricostruzionisti…”, si legge nella nota.

A colpirli in modo particolare, oltre alla fraternità vissuta con vescovi, cardinali, sacerdoti, anche la testimonianza delle famiglie neocatecumenali, specie quelle missionarie. “Siamo rimasti impressionati di come, nel Cammino Neocatecumenale, si sta trasmettendo la fede ai figli, si stanno ricostruendo le famiglie e i fedeli giungono alla conoscenza delle Scritture e delle radici del Cristianesimo: da tutto ciò è nato un grande rispetto e amore per il popolo ebraico”, scrivono i rabbini.

Durante i giorni dell’incontro sono state poi poste in luce alcune sfide comuni, affrontate anche attraverso il reciproco scambio di opinioni in questionari. I temi sono stati: la missione salvifica del popolo ebraico e della Chiesa Cattolica nel mondo di oggi; la trasmissione della fede alle prossime generazioni; il contrasto tra l’antropologia giudeo-cristiana e le antropologie basate sulla premessa della negazione di Dio; il riemergere dell’antisemitismo e del fondamentalismo xenofobo.

“Abbiamo espresso – scrivono i rabbini – il nostro comune impegno per la presenza di Dio nel mondo e il nostro comune desiderio di impegnarci nel tikkum olam, nel riparare il mondo, per tutta l’umanità, includendo la crescente preoccupazione per la sofferenza dei poveri, un maggiore rispetto per l’ambiente e per il rafforzamento della famiglia”. E aggiungono: “Riflettendo sulla Nostra Aetate e sull’enorme cambiamento che ha promosso sono state evidenziate grandi opportunità e sfide”.

Kiko, poi, ha raccontato la sua esperienza, a partire dal suo incontro con Cristo e dalla prima evangelizzazione nelle baracche alla periferia di Madrid. Anche i cardinali Toppo e Schönborn hanno preso parola, il primo per commentare questo evento unico che “dà inizio ad una nuova epoca”, il secondo per rimarcare che, tante volte nella storia, la Chiesa non ha saputo stare vicina al popolo ebraico, ma che con la Nostra Aetate sono stati fatti tanti passi avanti in tal senso.

Insomma questo incontro è stato “un vero miracolo”, come ha affermato più di qualcuno tra i presenti alla Domus. Oltre alle catechesi, alla preghiera e ai questionari, la comunione tra i partecipanti si è manifestata anche in momenti come il pranzo e la cena – tutti con cucina kosher – o nelle pause dove ognuno era interessato a presentarsi e conoscere la storia dell’altro.

Scrivono infatti i rabbini: “È avvenuto un immenso cambiamento rispetto ai pregiudizi e alle divisioni del passato e tale evento fa presagire una nuova relazione tra Ebraismo e Cristianesimo”. E c’è stato anche chi ha ipotizzato di ripetere l’iniziativa il prossimo anno per proseguire su questo cammino di avvicinamento e comunione.

Né telenovele né batticuori, il vero amore è concreto e si comunica

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Gira tutto intorno all’amore l’omelia mattutina di Francesco nella Messa a Santa Marta. Il Papa parla di “amore vero”, che non è quello comunemente inteso in un’accezione ‘smielatamente’ romantica, bensì l’amore di Cristo sulla croce, che si realizza nel “comunicare” se stessi agli altri. Un tipo di amore che coinvolge tutti, anche i monaci e le monache di clausura, che – sottolinea il Pontefice – amano anche se chiusi in quattro mura: “Essi in realtà non si isolano, ma comunicano e tanto”.

Per distinguere tra “il vero e il non-vero amore” ci sono “due criteri”, spiega quindi il Santo Padre. Il primo è che l’amore è “più nei fatti che nelle parole”: quindi fuori tutti gli ‘amori’ da “telenovela”, da “fantasia”, tutte quelle storie “che ci fanno battere un po’ il cuore, ma niente di più”. Il vero amore è “nei fatti concreti”, proprio come affermava Gesù, che ammoniva i suoi discepoli dicendo: “Non quelli che dicono ‘Signore! Signore!’ entreranno nel Regno dei Cieli, ma quelli che hanno fatto la volontà del mio Padre, che hanno osservato i miei comandamenti”.

“Il vero amore – rimarca Bergoglio – è concreto, è nelle opere, è un amore costante. Non è un semplice entusiasmo”. A volte è un amore anche “doloroso”: basti pensare alla Passione del Signore sulla croce, o a quelle “opere dell’amore” che Gesù insegna nel brano del capitolo 25 di San Matteo che sembrano ostacoli insormontabili. “Ma chi ama fa questo: il protocollo del giudizio”, sottolinea il Papa, “ero affamato, mi hai dato da mangiare, eccetera. Anche le beatitudini, che sono il ‘programma pastorale’ di Gesù, sono concrete”.

“Concretezza”, allora… “Una delle prime eresie nel cristianesimo – rileva infatti il Santo Padre – è stata quella del pensiero gnostico” che parlava di un “Dio lontano … e non c’era concretezza”. Invece, l’amore del Padre “è stato concreto, ha inviato Suo Figlio … fatto carne per salvarci”.

Secondo criterio è, invece, che l’amore “si comunica, non rimane isolato”. “L’amore – spiega Francesco – dà di se stesso e riceve, si fa quella comunicazione che è tra il Padre e il Figlio, una comunicazione che la fa lo Spirito Santo”.

“Non c’è amore senza comunicarsi, non c’è amore isolato”, ribadisce. Qualcuno, tuttavia, potrebbe pensare: “Ma Padre, i monaci e le monache di clausura sono isolate”. Loro comunque “comunicano… e tanto” – afferma Bergoglio – “comunicano con il Signore, anche con quelli che vanno a trovare una parola di Dio…”. Perché “il vero amore non può isolarsi”, e “se è isolato, non è amore”, ma “una forma spiritualista di egoismo, di rimanere chiuso in se stesso, cercando il proprio profitto…”.

Il problema è che questo egoismo “ci attira”, osserva il Pontefice: “ci attira per non fare e ci attira per non comunicarci”. E rende difficile quindi  “rimanere nell’amore di Gesù”.

Ma “cosa dice il Signore di quelli che rimarranno nel suo amore? ‘Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’. Il Signore che rimane nell’amore del Padre è gioioso – evidenzia Francesco – ‘e se voi rimarrete nel mio amore, la vostra gioia sarà piena’: una gioia che tante volte viene insieme alla croce. Ma quella gioia nessuno ve la potrà togliere”.

Allora l’invito è a pregare Dio e chiedergli che “ci dia la grazia della gioia, quella gioia che il mondo non può dare”.

I catecumeni: un segno di resistenza della Chiesa cattolica

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Per “trovare un rapporto con Dio” e un “senso alla propria vita”, circa 5mila adulti francesi saranno battezzati la notte di Pasqua nelle chiese del Paese transalpino. Quello dei catecumeni è un numero in costante aumento, segno di resistenza della Chiesa cattolica in una laica Francia nella quale si registrano una diminuzione complessiva dei battesimi – dai 385mila del 2002 ai 290mila del 2012 – e un drastico calo delle vocazioni, in media con gli altri Paesi occidentali.

La notte tra sabato e domenica prossima prenderanno il sacramento 3.790 adulti, cui vanno aggiunti 1.011 studenti delle scuole superiori. Ancora nella Pasqua del 2005, i catecumeni furono 2.409, circa il 50% in meno di quanti si presenteranno al fonte battesimale quest’anno.

Padre Philippe Marxer, responsabile del catecumenato alla Conferenza episcopale francese, spiega l’incremento non con una motivazione univoca. “Ci sono degli eventi che innescano qualcosa nella vita delle persone, come la nascita di un figlio o la morte di un genitore”, afferma il sacerdote all’agenzia Afp. Padre Marxer ha inoltre osservato nel corso degli anni “piccole differenze” nelle motivazioni generali delle persone che intraprendono un cammino di fede. “Cinquant’anni fa – rileva il sacerdote – i candidati al battesimo aspiravano a un rapporto intimo con Dio e anche ad operare nel mondo. Oggi il desiderio di agire in ambito politico e sociale non è scomparso, ma ciò che è primario (nei catecumeni) è il desiderio di dare un senso alla propria vita”.

Oltre quattro catecumeni su dieci sono cresciuti in una famiglia non praticante. All’incirca con la stessa percentuale prevalgono i candidati al battesimo che svolgono lavori manuali o impiegatizi piuttosto che intellettuali. Il fenomeno è diffuso soprattutto nelle città e coinvolge per lo più giovani tra i 25 e i 35 anni. Il corso di preparazione dura 18 mesi, come conferma all’Afp Laure Curutchet, ventottenne responsabile di vendite nel settore farmaceutico, la quale prenderà il battesimo nella grande Messa della Veglia pasquale a Boulogne-Billancourt, a pochi chilometri da Parigi. E già dalla prossima settimana tanti altri adulti, mossi dallo stesso spirito di questa giovane, inizieranno i corsi di preparazione.

Notizie confortanti sui “nuovi cristiani” giungono anche da Oltreoceano, dove si registra un aumento soprattutto negli ultimi tre anni. Come riporta La Stampa, quest’anno saranno migliaia gli adulti che riceveranno il battesimo la notte di Pasqua. Il record spetta all’arcidiocesi di Los Angeles, la più grande degli Stati Uniti, nelle cui chiese verranno battezzate 1.828 persone. Segue l’arcidiocesi di Washington con 1.317 tra catecumeni e candidati e la diocesi di Raleigh, nella Carolina del Nord, con 1.300. L’arcidiocesi di Philadelphia, che il Papa visiterà a settembre in occasione dell’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie, conta 607 tra catecumeni e candidati.

Il fenomeno dei candidati, molto diffuso negli Stati Uniti, fa riferimento a quei cristiani battezzati in altre Chiese (per lo più protestanti) che chiedono di entrare nella Chiesa cattolica. In Italia, anche se finora non sono uscite cifre complete dei catecumeni che saranno battezzati la notte di Pasqua nelle varie diocesi, risulta significativo il numero di immigrati, spesso appartenenti originariamente ad altre confessioni. Anche questo, un segno di resistenza della Chiesa cattolica alla secolarizzazione.

Il Papa loda l’umiltà di Teresa d’Avila, “maestra di preghiera”

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In occasione dei cinquecento anni dalla nascita di Santa Teresa d’Avila (1515-1582), papa Francesco ha espresso la sua gratitudine alla “grande famiglia Carmelitana scalza – religiose, religiosi e secolari – per il carisma di questa donna eccezionale”.

In una lettera recapitata al Preposito Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, padre Saverio Cannistrà, il Pontefice ha ritenuto “una grazia provvidenziale che questo anniversario coincida con l’Anno dedicato alla Vita Consacrata, nella quale la Santa di Ávila risplende come guida sicura e modello attraente di donazione totale a Dio”.

Il bene che questa santa ha seminato nella sua vita emerge ancora oggi nella “testimonianza della sua consacrazione, nata direttamente dall’incontro con Cristo”, nella sua “esperienza di preghiera, come dialogo continuo con Dio”, e nella sua “vita comunitaria, radicata nella maternità della Chiesa”, scrive il Papa.

Francesco indica poi Santa Teresa come “maestra di preghiera”, nella cui esperienza è stata “centrale” la “scoperta dell’umanità di Cristo”, da lei stessa descritta “in maniera vivace e semplice, alla portata di tutti, perché essa consiste semplicemente in «un rapporto d’amicizia […] con chi sappiamo che ci ama» (Vita, 8, 5)”.

Spesso la narrazione di Teresa “si trasforma in preghiera” ma non si tratta di una preghiera “riservata unicamente ad uno spazio o ad un momento della giornata”: la santa spagnola “era convinta del valore della preghiera continua, benché non sempre perfetta” e “ci chiede di essere perseveranti, fedeli, anche in mezzo all’aridità, alle difficoltà personali o alle necessità pressanti che ci chiamano”.

Il modello di vita consacrata offerto da Teresa d’Avila, “lungi dal chiuderci in noi stessi o dal condurci solo ad un equilibrio interiore”, ci fa “ripartire sempre da Gesù” e costituisce “un’autentica scuola per crescere nell’amore verso Dio e verso il prossimo”.

Teresa fu una “comunicatrice instancabile del Vangelo” e, “desiderosa di servire la Chiesa”, di fronte ai “gravi problemi del suo tempo, non si limitò ad essere una spettatrice della realtà che la circondava”, diventando così pioniera di quella “dimensione missionaria ed ecclesiale ha da sempre contraddistinto le Carmelitane e i Carmelitani scalzi”.

Inoltre, la santa carmelitana era consapevole che “né la preghiera né la missione si possono sostenere senza un’autentica vita comunitaria”; fu quindi “molto attenta ad ammonire le sue religiose circa il pericolo dell’autoreferenzialità nella vita fraterna”.

Alle sue consorelle, Teresa raccomandò innanzitutto “la virtù dell’umiltà, che non è trascuratezza esteriore né timidezza interiore dell’anima, bensì conoscere ciascuno le proprie possibilità e ciò che Dio può fare in noi”. Fu contraria ai “pettegolezzi”, alle “gelosie”, alle “critiche”, che “nuocciono seriamente alla relazione con gli altri” e, al contrario, fu fautrice di un’umiltà “fatta di accettazione di sé, di coscienza della propria dignità, di audacia missionaria, di riconoscenza e di abbandono in Dio”.

Prendendo atto di tali “nobili radici”, papa Francesco ha infine esortato le comunità teresiane a “diventare case di comunione, capaci di testimoniare l’amore fraterno e la maternità della Chiesa, presentando al Signore le necessità del mondo, lacerato dalle divisioni e dalle guerre”.

“Io dico sempre che il Cammino Neocatecumenale fa un grande bene nella Chiesa”

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Nugoli di preti e seminaristi con la barba e il rosario in mano, squadroni di itineranti e catechisti, famiglie, da tutto il mondo, tra cui anche un gruppo di coreani con i tipici kimono. Bandiere dei diversi paesi, striscioni con dichiarazioni d’affetto al Papa e anche un canguro di gomma. Poi bambini, bambini ovunque, di tutte le età: dai neonati che vagivano nelle carrozzine, a quelli più grandicelli che sfidavano i gendarmi facendo le foto sui gradini dell’Aula Paolo VI.

L’umanità variopinta che presenta il Cammino Neocatecumenale nei grandi incontri è sempre uno spettacolo. Ne è stata conferma l’udienza di questa mattina con Papa Francesco, durante la quale il Santo Padre ha inviato 220 famiglie missionarie in ogni angolo del globo. Lo stesso Pontefice appariva divertito nel vedere questa folla in festa che ha accolto il suo ingresso nel corridoio dell’Aula Nervi.

Tra gli applausi e i tradizionali cori di “W il Papa”, mentre l’iniziatore Kiko Argüello dal palco intonava emozionato un canto alla Vergine Maria, Francesco ha baciato bambini, abbracciato giovani e malati, benedetto i fedeli più veloci nell’accaparrarsi il posto dietro le transenne. Sul palco, ad attendere il Pontefice, oltre a Kiko, Carmen Hernandez e padre Mario Pezzi, responsabili mondiali del Cammino, c’era pure un gruppo di vescovi e cardinali vicini all’itinerario Neocatecumenale, tra cui il cardinale vicario Agostino Vallini, il cardinale Rouco Varela, il cardinale Rylko e molti altri.

Sempre sul palco, a sinistra, campeggiava poi l’enorme cartellone che presentava al Papa le diverse destinazioni in cui verranno inviate le 90 missio ad gentes: dalle nazioni secolarizzate di Europa e Oceania, ai villaggi poveri dell’Africa, fino alle zone dell’Asia dove – come ha detto Kiko – “non sanno nemmeno chi sia Gesù Cristo”. 220 famiglie, per un totale di 600 figli, accompagnati da un sacerdote, che si vanno ad aggiungere agli oltre 1.100 nuclei familiari che anni fa hanno già compiuto questa scelta di lasciare tutto e tutti per Cristo.

Famiglie “formate” da 14-15 anni di Cammino, come ha spiegato Argüello, pronte ad evangelizzare anche nelle parti più difficili del mondo. Famiglie “che si amano” quasi da far invidia, e che solo per questo rappresentano una forte testimonianza in quelle terre dove ogni anno aumenta il tasso di suicidi, divorzi, aborti.

Una testimonianza, dunque, quella offerta da circa 50 anni dalle famiglie (numerose e non) del Cammino Neocatecumenale, che si rende quanto mai necessaria nel momento storico attuale. Proprio per questo Papa Francesco, come i suoi predecessori sin dall’epoca del Beato Paolo VI, ha voluto mettere il suo sigillo su questa florida opera di nuova evangelizzazione.

“Il compito di Pietro è quello di confermare i fratelli nella fede”, ha detto infatti all’inizio del suo discorso, “così anche voi avete voluto con questo gesto chiedere al Successore di Pietro di confermare la vostra chiamata, di sostenere la vostra missione, di benedire il vostro carisma. E io oggi confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra missione e benedico il vostro carisma”. “Lo faccio – ha precisato a braccio – non perché lui (riferito a Kiko) mi ha pagato, no! Lo faccio perché voglio farlo. Andrete in nome di Cristo in tutto il mondo a portare il suo Vangelo: Cristo vi preceda, Cristo vi accompagni, Cristo porti a compimento quella salvezza di cui siete portatori!”.

“Io dico sempre che il Cammino Neocatecumenale fa un grande bene nella Chiesa”, ha poi soggiunto il Santo Padre, in quanto esso realizza il mandato di Cristo ai suoi discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvato». In particolare, Francesco si dice “contento” che questa missione si svolga grazie “a famiglie cristiane che, riunite in una comunità, hanno la missione di dare i segni della fede che attirano gli uomini alla bellezza del Vangelo”. Ovvero l’amore e l’unità indicate dal Signore nel Vangelo.

Soprattutto sono le missio ad gentes la più grande e nuova testimonianza per il mondo di oggi: queste comunità, formate da un presbitero e da quattro o cinque famiglie, con figli anche grandi, chiamate dai Vescovi per una implantatio Ecclesiae, “una nuova presenza di Chiesa”, là dove la Chiesa non esiste o non è più in grado di raggiungere i non cristiani. Tutti coloro, cioè – ha spiegato il Papa – “che non hanno mai sentito parlare di Gesù Cristo”, che “hanno dimenticato chi era Gesù Cristo, chi è Gesù Cristo”, “non cristiani battezzati, ma ai quali la secolarizzazione, la mondanità e tante altre cose hanno fatto dimenticare la fede”.

“Svegliate quella fede!”, ha quindi urlato Bergoglio. “Prima ancora che con la parola, con la vostra testimonianza di vita, manifestate il cuore della rivelazione di Cristo: che Dio ama l’uomo fino a consegnarsi alla morte per lui e che è stato risuscitato dal Padre per darci la grazia di donare la nostra vita agli altri”.

Perché di questo grande messaggio “il mondo di oggi ha estremo bisogno”. Troppa è infatti la “solitudine”, la “sofferenza”, la “lontananza da Dio” che si sperimenta “in tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia!”. “Quanto bisogno ha l’uomo di oggi, in ogni latitudine, di sentire che Dio lo ama e che l’amore è possibile!”, ha esclamato il Santo Padre.  E chi può meglio mostrare l’amore di Dio per l’uomo se non “tutti voi che avete ricevuto la forza di lasciare tutto e di partire per terre lontane grazie a un cammino di iniziazione cristiana, vissuto in piccole comunità, dove avete riscoperto le immense ricchezze del vostro Battesimo”.

In fin dei conti questo è il Cammino Neocatecumenale, “un vero dono della Provvidenza alla Chiesa dei nostri tempi”, ha sottolineato Bergoglio, rievocando le storiche parole con cui san Giovanni Paolo II ne sintetizzò l’essenza: «Un itinerario di formazione cattolica, valido per la società e per i tempi odierni». Ma Francesco ha citato anche Paolo VI, quando incontrando per la prima volta le comunità neocatecumenali nell’udienza dell’8 maggio 1974 disse: “Quanta gioia ci date con la vostra presenza e con la vostra attività!”.

“Vedere tutto questo è una consolazione, perché conferma che lo Spirito di Dio è vivo e operante nella sua Chiesa, anche oggi, e che risponde ai bisogni dell’uomo moderno”, ha aggiunto il Santo Padre, per poi ricordare il tripode su cui il Cammino poggia le sue basi: Parola, Liturgia e Comunità. Perciò, ha rimarcato, “l’ascolto obbediente e costante della Parola di Dio; la celebrazione eucaristica in piccole comunità dopo i primi vespri della domenica, la celebrazione delle lodi in famiglia nel giorno di domenica con tutti i figli e la condivisione della propria fede con altri fratelli sono all’origine dei tanti doni che il Signore ha elargito a voi, così come le numerose vocazioni al presbiterato e alla vita consacrata”.

Tutto questo è linfa vitale per quella “pastorale decisamente missionaria” a cui la Chiesa deve mirare – come ribadito anche dalla Evangelii Gaudium –, tralasciando quella “pastorale di semplice conservazione” che fa sì che “nella Chiesa, abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire…”. “Quante volte!”, ha osservato a braccio il Papa. Questa, dunque – ha concluso – “è la cosa più importante da fare se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa”.

E per concretizzare queste parole, Francesco ha abbracciato e consegnato la croce dell’invio ad una rappresentanza delle oltre 200 famiglie missionarie e imposto le mani sul capo di ognuno degli oltre 30 presbiteri che le accompagneranno, in ginocchio tutti in fila sul palco desiderosi di ricevere la benedizione del Successore di Pietro.

Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina

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C’è un filo conduttore che lega la catechesi del Papa di ieri, durante l’Udienza generale del mercoledì, e il discorso di stamane ai partecipanti alla XXI Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, al via oggi in Vaticano sul tema: “L’assistenza agli anziani e le cure palliative”.

Ieri il Pontefice denunciava l’indifferenza che gli anziani subiscono nel mondo di oggi, spesso soli e abbandonati dai loro stessi familiari. Oggi, in Sala Clementina, amplia lo sguardo e rimprovera non solo i figli che tradiscono i comandamenti biblici ‘trascurando o maltrattando’ i genitori, ma anche lo Stato stesso che specula sulle cure e le medicine di cui necessitano molti anziani.

In particolare, il Pontefice concentra la sua riflessione sulle cure palliative, tema dell’assemblea, le quali – dice – “sono espressione dell’attitudine propriamente umana a prendersi cura gli uni degli altri, specialmente di chi soffre”. Esse – soggiunge – “testimoniano che la persona umana rimane sempre preziosa, anche se segnata dall’anzianità e dalla malattia”.

In qualsiasi circostanza, infatti, “la persona è un bene per sé stessa e per gli altri ed è amata da Dio”, anche “quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell’esistenza terrena”. Anzi proprio in quel momento “sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore”, sottolinea Bergoglio.

D’altronde è la Bibbia stessa a chiedere di onorare i genitori, rammentando “l’onore che dobbiamo a tutte le persone anziane”. Ciò – evidenzia il Santo Padre – “assicura non solo il dono della terra, ma soprattutto la possibilità di goderne”. Vi è infatti una “relazione pedagogica” tra genitori e figli, anziani e giovani, in riferimento “alla custodia e alla trasmissione dell’insegnamento religioso e sapienziale alle generazioni future”.

Onorare perciò questo insegnamento e coloro che lo trasmettono “è fonte di vita e di benedizione”. Laddove la Bibbia riserva invece una maledizione contro “coloro che trascurano o maltrattano i genitori”. “Lo stesso giudizio – afferma Francesco – vale oggi quando i genitori, divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all’abbandono”.

Nella società contemporanea in particolare, “la logica dell’utilità prende il sopravvento su quella della solidarietà e della gratuità, persino all’interno delle famiglie”, rileva il Papa. “Onorare”, quindi, assume oggi i connotati di un obbligo morale ad “avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o ‘fatto morire’”.

La medicina, soprattutto, è “testimone dell’onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano”, rimarca Bergoglio, spiegando che “evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina. Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana”.

Rivolgendosi poi ai presenti, Francesco ricorda come le cure palliative siano state finora “un prezioso accompagnamento per i malati oncologici”. Oggi, però, lo scenario è cambiato e “sono molte e variegate le malattie, spesso legate all’anzianità, caratterizzate da un deperimento cronico progressivo e che possono avvalersi di questo tipo di assistenza”.

Gli anziani hanno bisogno perciò in primo luogo delle “cure dei familiari”, “il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più competenti e caritatevoli”. Quando “non autosufficienti o con malattia avanzata o terminale”, infatti, essi “possono godere di un’assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze grazie alle cure palliative offerte ad integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari”.

Anche perché “l’abbandono è la ‘malattia’ più grave dell’anziano, e anche l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto”.

Il Papa loda quindi l’impegno scientifico e culturale “per assicurare che le cure palliative possano giungere a tutti coloro che ne hanno bisogno”. E soprattutto incoraggia “i professionisti e gli studenti a specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede meno valore per il fatto che ‘non salva la vita’”. Le cure palliative, infatti, “realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona”. E “ogni conoscenza medica – ricorda il Papa – è davvero scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che non si raggiunge mai ‘contro’ la sua vita e la sua dignità”.

È proprio su “questa capacità di servizio alla vita e alla dignità della persona malata, anche quando anziana”, che si misura “il vero progresso della medicina e della società tutta”, conclude Francesco. E con un impeto di cuore fa sue le parole di San Giovanni Paolo II: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!».

Francesco con il clero romano. No a preti sposati, omelie “show” e tradizionalisti “squilibrati”

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Tutti i giornali riportano le parole sui ‘preti sposati’, ma c’è molto di più nel discorso di Papa Francesco al clero romano durante l’annuale appuntamento per l’inizio della Quaresima. Il Vescovo di Roma si è intrattenuto infatti all’incirca due ore con i centinaia di preti e parroci in Aula Paolo VI , parlando brevemente di omiletica e Ars celebrandi – tema dell’incontro – ma soprattutto dando libera parola ai presenti, perché, ha detto, “mi interessano di più le vostre domande”.

L’intenzione del Pontefice non era infatti di tenere una lezione, ma di dialogare con “i suoi sacerdoti”. E proprio per sentirsi più libero nel farlo ha espresso il desiderio che nessuna telecamera fosse presente in Aula, né che il discorso venisse trasmesso in diretta tv. Alcuni stralci del dialogo si sono tuttavia potuti ricostruire grazie a dichiarazioni rilasciate alla stampa dagli stessi sacerdoti in uscita dall’Aula Paolo VI. Qualcuno, previdente, è riuscito anche a registrare le parole del Pontefice.

L’incontro, dopo il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini, è stato introdotto con un riferimento all’intervento dello stesso Bergoglio alla plenaria della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti sul tema dell’Ars celebrandi, il 1° marzo 2005. Il testo era stato distribuito in precedenza ai partecipanti ed è stato ripubblicato, oggi pomeriggio, da L’Osservatore Romano.

Fulcro dell’udienza sono state tuttavia le domande di alcuni sacerdoti, anche quelle non programmate, davanti alle quali il Papa non si è tirato indietro e ha risposto con la consueta prontezza.

Oltre alle poche frasi riportate già in mattinata da alcune agenzie, Bergoglio nel suo colloquio ha toccato il tema, ad esempio, del “rito tradizionale” con cui Benedetto XVI concesse di celebrare la Messa. Con il Motu Proprio Summorum Pontificum, pubblicato nel 2007, Ratzinger diede infatti la possibilità di celebrare la Messa secondo i libri liturgici editi da Giovanni XXIII nel 1962, fermo restando che la forma “ordinaria” di celebrazione nelle Chiese cattoliche rimanesse sempre quella stabilita da Paolo VI nel 1970.

Un gesto, questo, – ha spiegato oggi Francesco – che il suo predecessore, “uomo di comunione”, ha voluto compiere per tendere “una mano coraggiosa ai lefebvriani e ai tradizionalisti”, ovvero tutte quelle persone che avevano desiderio di celebrare la Messa secondo l’antico rituale.

Tuttavia questo tipo di Messa cosiddetta “tridentina” – ha ribadito il Papa – è una “forma extraordinaria del rito romano”, quello cioè approvato dopo il Concilio Vaticano II. Quindi non è reputata un rito distinto, ma solamente una “diversa forma del medesimo rito”.

Tuttavia – ha aggiunto Francesco – ci sono preti e vescovi che parlano di “riforma della riforma”. Alcuni di loro sono “santi” e ne parlano “in buona fede”. Questo però “è sbagliato”, ha detto il Santo Padre. Ha quindi riferito il caso di alcuni vescovi che hanno accettato seminaristi “tradizionalisti” mandati via dalle altre diocesi, senza prendere informazioni su di essi, perché “si presentavano molto bene, molto devoti”. Li hanno ordinati, ma questi hanno poi mostrato “problemi psicologici e morali”.

Non è una prassi, ma ciò “accade spesso” in questi ambienti, ha detto il Papa, e ordinare questi tipi di seminaristi è come mettere “una ipoteca sulla Chiesa”. Il problema di fondo è che alcuni vescovi a volte sono travolti “dalla necessità di avere nuovi preti in diocesi”, pertanto non viene operato un adeguato discernimento tra i candidati, tra i quali dietro alcuni si possono nascondere degli “squilibri” che poi si manifestano proprio nelle Liturgie. La Congregazione dei Vescovi – ha riferito ancora il Pontefice – è dovuta infatti intervenire con dei vescovi su tre di questi casi, sebbene non accaduti in Italia.

Nel discorso introduttivo, Francesco, parlando di omiletica e Ars celebrandi, ha raccomandato invece ai preti presenti di non cadere nella tentazione di voler essere “showman” sul pulpito, magari parlando “in modo sofisticato” o “abusando dei gesti”; nemmeno però i celebranti devono essere così “noiosi” da spingere le persone ad “andare fuori a fumare una sigaretta” durante l’omelia.

A tal proposito, Bergoglio – nei pochi minuti mandati in onda nella Sala Stampa della Santa Sede – ha raccontato tre aneddoti personali accaduti a Buenos Aires, proprio relativi a questa “sfida” dell’omelia. Ad esempio, quando degli amici gli riferirono entusiasti di aver trovato “una Chiesa dove si fa la messa senza l’omelia”, o di quando una nipote per nulla entusiasta si lamentò con lui di aver dovuto ascoltare “una lezione di 40 minuti sulla Summa di san Tommaso”.

L’omelia insomma – ha sottolineato il Papa – va pronunciata con l’intenzione di voler fare entrare i fedeli “nel mistero della fede”. Questo, lui stesso l’ha capito dopo alcuni anni, dopo cioè una plenaria del 2005, dove, in seguito ad una sua esposizione, fu rimproverato dal cardinale Meisner e dall’allora cardinale Ratzinger di non aver detto che nell’Ars celebrandibisognava anzitutto “sentirsi davanti a Dio”. “E aveva ragione, di questo io non avevo parlato”.

Al momento delle domande ‘libere’, è intervenuto don Giovanni Cereti, teologo in diversi Atenei pontifici, nonché autore del volume “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva”, in cui affermava che nel primo millennio gli adulteri erano riammessi nella comunità dopo un periodo di penitenza e che potevano accedere alla comunione pur restando nel nuovo matrimonio.

Oggi Cereti, ha domandato al Papa se in futuro potrà esserci la possibilità che i sacerdoti sposati, dopo aver ottenuto la dispensa, possano essere riammessi a celebrare la Messa. “È un problema di non semplice soluzione”, ha ammesso Bergoglio, che tuttavia la Chiesa e lui stesso hanno “a cuore”. La questione è anche all’attenzione della Congregazione per il Clero, che ha concesso questa pratica solo in rarissimi casi di ex preti molto anziani che avevano chiesto di celebrare l’Eucarestia, in forma privata, prima di morire. Il problema in sé, ha tuttavia ribadito perentoriamente il Papa, “non so se possa essere risolto”.

“Giovani, solo Cristo soddisfa le vostre attese deluse da false promesse mondane”

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Resterà uno dei capitoli fondamentali del suo Magistero il lungo messaggio inviato da Papa Francesco a tutti i giovani partecipanti alla Giornata mondiale della Gioventù a livello diocesano, il giorno della Domenica delle Palme. Una piccola tappa, questa, del cammino che porterà gli stessi giovani nel luglio 2016 a Cracovia, in Polonia, per vivere l’incontro internazionale presieduto dal Successore di Pietro.

Ai ragazzi e alle ragazze di tutto il mondo, Bergoglio nel suo messaggio parla di amore e sessualità, di soddisfazione e di fiducia, di responsabilità e vocazione, guidato nella sua riflessione dal ‘Discorso della Montagna’ in cui Cristo spiega ai discepoli come vivere da cristiani veri. Una delle Beatitudini elencate dal Signore – la sesta per l’esattezza: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» – è infatti il tema della Gmg diocesana.

E proprio traendo spunto da questa prima grande predicazione del Signore, Francesco svela ai giovani come poter essere anche loro “beati”, quindi felici. Una parola che Cristo pronuncia nove volte nel suo Discorso, proprio per indicare la ricerca della felicità “comune alle persone di tutti i tempi e di tutte le età”.

“Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza”, afferma infatti il Pontefice. E domanda: “Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito?”.

Questa sete si placa solo nella “comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con se stessi”, come annotano i primi capitoli della Genesi. Tuttavia questo anelito, così puro, così spontaneo, è minato dal peccato che, entrato nella storia, ha reso impossibile “l’accesso diretto alla presenza di Dio”: “La ‘bussola’ interiore che guidava gli uomini nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e subentrano tristezza e angoscia”, dice il Papa.

L’umanità grida allora a Dio, il quale non resta indifferente ma risponde a questa supplica inviando il suo unico Figlio che “con la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione ci redime dal peccato e ci apre orizzonti nuovi, finora impensabili”. E così, in Cristo, tutto si sublima: “In Cristo si trova il pieno compimento dei sogni di bontà e felicità”, afferma il Papa, “Lui solo può soddisfare le vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane”.

Come disse San Giovanni Paolo II (il cui spirito aleggia su tutto il messaggio) nella Veglia di preghiera a Torvergata, durante la Gmg del 2000: “È Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita…”.

E questa beatitudine che si sperimenta solo attraverso Gesù Cristo passa attraverso “la purezza del cuore”, intendendo per “cuore” – spiega il Santo Padre – “il centro dei sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della persona umana”. Questo cuore deve essere pertanto “puro”, ovvero pulito, limpido, libero da contaminazioni, perché esso “riassume l’essere umano nella sua totalità e unità di corpo e anima, nella sua capacità di amare ed essere amato”.

La purezza del cuore, infatti, non è un qualcosa solo interiore ma tocca soprattutto “il campo delle nostre relazioni”, sottolinea Papa Francesco. Parla dunque di “ecologia”, perché come siamo chiamati ad una “sana attenzione per la custodia del creato”, tanto più – dice – “dobbiamo custodire la purezza di ciò che abbiamo di più prezioso: i nostri cuori e le nostre relazioni”. Una “ecologia umana”, dunque, che – assicura Bergoglio – “ci aiuterà a respirare l’aria pura che proviene dalle cose belle, dall’amore vero, dalla santità”.

Come nell’intervista ai giovani del Belgio, interroga quindi i giovani: “Dov’è il vostro tesoro? Su quale tesoro riposa il vostro cuore?”. “Sì, – soggiunge – i nostri cuori possono attaccarsi a veri o falsi tesori, possono trovare un riposo autentico oppure addormentarsi, diventando pigri e intorpiditi”. Allora “il bene più prezioso che possiamo avere nella vita è la nostra relazione con Dio”.

“Ne siete convinti?”, chiede il Papa, “siete consapevoli del valore inestimabile che avete agli occhi di Dio? Sapete di essere amati e accolti da Lui in modo incondizionato, così come siete? Quando questa percezione viene meno, l’essere umano diventa un enigma incomprensibile, perché proprio il sapere di essere amati da Dio incondizionatamente dà senso alla nostra vita”.

E la vita ha bisogno di avere un senso. Specie nel periodo della giovinezza, un’epoca di vortici di emozioni e sentimenti, in cui “sboccia il desiderio profondo di un amore vero, bello e grande”. “Quanta forza c’è in questa capacità di amare ed essere amati!”, esclama il Vescovo di Roma, esortano a non permettere “che questo valore prezioso sia falsato, distrutto o deturpato”, come accade “quando nelle nostre relazioni subentra la strumentalizzazione del prossimo per i propri fini egoistici, talvolta come puro oggetto di piacere”.

La tendenza è infatti quella di banalizzare l’amore e di sminuirlo alla sola sfera sessuale, “svincolandolo così dalle sue essenziali caratteristiche di bellezza, comunione, fedeltà e responsabilità”. Il problema è che “il cuore rimane ferito e triste in seguito a queste esperienze negative”, avverte Francesco.

Quindi, “vi prego: non abbiate paura di un amore vero”, “vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente”.

“Io – insiste ancora il Papa – ho fiducia in voi giovani e prego per voi”, che siete “bravi esploratori!”. “Se vi lanciate alla scoperta del ricco insegnamento della Chiesa in questo campo, scoprirete che il cristianesimo non consiste in una serie di divieti che soffocano i nostri desideri di felicità, ma in un progetto di vita capace di affascinare i nostri cuori!”.

In questo percorso non sempre facile, il Papa invita a farsi accompagnare del Signore. Dio stesso esorta: «Cercate il mio volto!». “Sì, cari giovani, il Signore vuole incontrarci, lasciarsi ‘vedere’ da noi”, dice. Ma come fare?

Le strade sono tre. Prima di tutto la preghiera: “Sapete che potete parlare con Gesù, con il Padre, con lo Spirito Santo, come si parla con un amico?”, domanda Bergoglio. Poi la lettura quotidiana del Vangelo e l’amore ai fratelli, specialmente quelli “più dimenticati”. In questo modo diventerà possibile “riconoscere la sua presenza nella vostra storia”.

“Interrogatevi con animo puro e non abbiate paura di quello che Dio vi chiede!”, esorta ancora il Santo Padre; “a partire dal vostro ‘sì’ alla chiamata del Signore diventerete nuovi semi di speranza nella Chiesa e nella società”.

Questa chiamata può essere il matrimonio – anche se “molti oggi pensano che questa vocazione sia ‘fuori moda’, ma non è vero!” – oppure la vita consacrata o il sacerdozio. Ognuno ha la sua strada prospettata dal Signore. L’importante – rimarca il Papa –  è seguirla fino in fondo, perché “non dimenticate la volontà di Dio è la nostra felicità!”. E “quanto è bello vedere giovani che abbracciano la vocazione di donarsi pienamente a Cristo e al servizio della sua Chiesa!”.

In conclusione del messaggio, Francesco guarda ancora con gratitudine al ‘gigante della Fede” che fu san Giovanni Paolo II , il quale quasi 30 anni fa istituì le Giornate Mondiali della Gioventù, iniziativa rivelatasi negli anni “provvidenziale e profetica” e che ha portato “preziosi frutti nella vita di tanti giovani in tutto il pianeta!”.

La preghiera è dunque che “il santo Pontefice, Patrono delle GMG, interceda per il nostro pellegrinaggio verso la sua Cracovia”. E che “lo sguardo materno della Beata Vergine Maria, la piena di grazia, tutta bella e tutta pura, ci accompagni in questo cammino”.