Sulla scia della paternità…(II)

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Torna a parlare di “padri”, Bergoglio nella sua catechesi durante l’Udienza generale di oggi, svoltasi in Aula Paolo VI e non in piazza San Pietro a causa del maltempo. Se lo scorso mercoledì, il Pontefice illustrava le conseguenze negative della “assenza” della figura paterna sugli equilibri familiari, questa volta volge il discorso in positivo e si sofferma sul valore del ruolo del padre.

Un padre presente, attento ai bisogni della sua famiglia, come San Giuseppe “uomo giusto”, il quale, nonostante le difficoltà e l’iniziale tentazione di lasciare Maria, “prese con sé la sua sposa” e compì fino in fondo la sua “missione di padre putativo”.

Il Papa cita quindi le parole di un padre al proprio figlio contenute nel Libro dei Proverbi: «Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio, anche il mio sarà colmo di gioia. Esulterò dentro di me, quando le tue labbra diranno parole rette». “Non si potrebbe esprimere meglio l’orgoglio e la commozione di un padre che riconosce di avere trasmesso al figlio quel che conta davvero nella vita, ossia un cuore saggio”, commenta il Pontefice.

“Questo padre – soggiunge – non dice: ‘Sono fiero di te perché sei proprio uguale a me, perché ripeti le cose che dico e che faccio io’.No! Gli dice qualcosa di ben più importante: ‘Sarò felice ogni volta che ti vedrò agire con saggezza, e sarò commosso ogni volta che ti sentirò parlare con rettitudine”.

Ciò che questo padre dei Proverbi ha voluto lasciare a suo figlio è “l’attitudine a sentire e agire, a parlare e giudicare con saggezza e rettitudine”, perché, dice, “diventasse una cosa tua” e perché “tu potessi essere così”.

“Ti ho insegnato cose che non sapevi, ho corretto errori che non vedevi – prosegue Francesco nella sua appassionata interpretazione -. Ti ho fatto sentire un affetto profondo e insieme discreto, che forse non hai riconosciuto pienamente quando eri giovane e incerto. Ti ho dato una testimonianza di rigore e di fermezza che forse non capivi, quando avresti voluto soltanto complicità e protezione. Ho dovuto io stesso, per primo, mettermi alla prova della saggezza del cuore, e vigilare sugli eccessi del sentimento e del risentimento, per portare il peso delle inevitabili incomprensioni e trovare le parole giuste per farmi capire. Adesso, quando vedo che tu cerchi di essere così con i tuoi figli, e con tutti, mi commuovo. Sono felice di essere tuo padre”.

“È così quello che dice un padre saggio, un padre maturo”, annota il Pontefice. Un padre che “sa bene quanto costa trasmettere questa eredità: quanta vicinanza, quanta dolcezza e quanta fermezza”. Tuttavia è incomparabile la “consolazione” e la “ricompensa” che si riceve “quando i figli rendono onore a questa eredità!”: è “una gioia che riscatta ogni fatica, che supera ogni incomprensione e guarisce ogni ferita”, sottolinea il Santo Padre.

Ma affinché tutto questo si realizzi, è necessario anzitutto che “il padre sia presente nella famiglia. Che sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E che sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada”.

Dunque, “padre presente, sempre”, rimarca Bergoglio. Presente che però non significa “controllore”, precisa, “perché i padri troppo controllori annullano i figli, non li lasciano crescere!”. L’esempio supremo è il “Padre che sta nei cieli”, il solo, dice Gesù Cristo, che può essere chiamato veramente “Padre buono”. Poi ci sono altri modelli da seguire, di cui ci parla la Scrittura. Uno è “quella straordinaria parabola chiamata del ‘figlio prodigo’ o meglio del ‘padre misericordioso’” nel Vangelo di Luca, rileva il Papa.

“Quanta dignità e quanta tenerezza nell’attesa di quel padre che sta sulla porta di casa aspettando che il figlio ritorni!”, osserva. Ed esorta i padri ad “essere pazienti”, perché “tante volte non c’è altra cosa da fare che aspettare; pregare e aspettare con pazienza, dolcezza, magnanimità, misericordia”.

“Un buon padre, infatti, sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore”; allo stesso tempo “sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi”. “Una volta – aggiunge Francesco a braccio – ho sentito in una riunione di matrimonio un papà dire: ‘Io alcune volte devo picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli’ … Ha senso della dignità…”.

Vivere la paternità così pienamente tuttavia è impossibile senza “la grazia che viene dal Padre che sta nei cieli”. Qualora essa manchi – avverte il Papa – “i padri perdono coraggio, e abbandonano il campo”. Invece “i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno; e il non trovarlo apre in loro ferite difficili da rimarginare”.

Accanto a questi papà c’è sempre una mamma – conclude Papa Francesco – che è la Chiesa, “impegnata a sostenere con tutte le sue forze la presenza buona e generosa dei padri nelle famiglie, perché essi sono per le nuove generazioni custodi e mediatori insostituibili della fede nella bontà, della fede nella giustizia e nella protezione di Dio, come san Giuseppe”.

Sulla scia della paternità…

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Due giorni dopo un’accorata omelia a Santa Marta, dedicata alle mamme e al loro ruolo centrale nella famiglia, durante l’Udienza Generale di stamattina, papa Francesco si è soffermato sulla figura paterna.

È sempre più la famiglia, dunque, al centro delle riflessioni del Santo Padre, come testimoniano anche i discorsi pronunciati durante la visita pastorale nelle Filippine e il recentissimo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

La parola “padre”, ha spiegato il Pontefice, è la “parola più di ogni altra cara a noi cristiani, perché è il nome con il quale Gesù ci ha insegnato a chiamare Dio”, conferendole “nuova profondità” e rivelando, così, il “mistero benedetto dell’intimità di Dio, Padre, Figlio e Spirito”, ovvero “il cuore della nostra fede cristiana”.

La definizione di “padre” ha un connotato “universale” ed “una relazione fondamentale la cui realtà è antica quanto la storia dell’uomo”.

La cultura occidentale, ha osservato il Papa, è arrivata ad auspicare una “società senza padri”, segnata dal mito ideologico della “liberazione dal padre-padrone, dal padre come rappresentante della legge che si impone dall’esterno, dal padre come censore della felicità dei figli e ostacolo all’emancipazione e all’autonomia dei giovani”.

Se da un lato, in passato, prevaleva l’“autoritarismo” di molti padri che impedivano ai figli di “intraprendere la loro strada con libertà” e di assumersi “le proprie responsabilità”, oggi “siamo passati da un estremo all’altro” e il problema principale è diventato quello dell’“assenza” e della “latitanza” della figura paterna.

Troppi padri, ha lamentato Francesco, sono eccessivamente “concentrati su se stessi e sul proprio lavoro, e a volte sulla propria realizzazione individuale, da dimenticare anche la famiglia”.

Questa assenza rende i figli sostanzialmente “orfani”, in quanto i padri “non adempiono il loro compito educativo”, né sanno trasmettere ai figli “quei principi, quei valori, quelle regole di vita di cui hanno bisogno come del pane”. Trascurando le loro responsabilità, molti padri finiscono così per rifugiarsi in un “improbabile rapporto ‘alla pari’ con i figli”.

Il declino della paternità, tuttavia, è un problema che non coinvolge soltanto le famiglie ma anche la “comunità civile” e le “istituzioni”, titolari di una responsabilità “paterna” verso i giovani troppo spesso trascurata o male esercitata. Con il risultato che i ragazzi rimangono “orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente”.

Ai giovani d’oggi, ha detto ancora il Santo Padre, si regalano tanti “idoli” ma “si ruba loro il cuore”; li si spinge a “sognare divertimenti e piaceri, ma non si dà loro il lavoro; vengono illusi col dio denaro, e negate loro le vere ricchezze”.

Il messaggio di Gesù Cristo ai suoi discepoli è diametralmente opposto: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18); in Lui troviamo “la Via da percorrere, il Maestro da ascoltare, la Speranza che il mondo può cambiare, che l’amore vince l’odio, che può esserci un futuro di fraternità e di pace per tutti”.

Il Pontefice ha poi chiosato a braccio: “Qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma Padre, oggi lei è stato troppo negativo. Ha parlato soltanto dell’assenza dei padri, cosa accade quando i padri non sono vicini ai figli…”.

Papa Francesco ha motivato le sue riflessioni ‘amare’, per preparare meglio il terreno alla prossima Udienza Generale, che riguarderà “la bellezza della paternità”: un modo come un altro per “cominciare dal buio per arrivare alla luce”, ha quindi concluso.

“Il Presepe e l’Albero toccano il cuore di tutti, anche dei non credenti”

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“Due bellissimi doni natalizi che saranno ammirati dai numerosi pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo”. Così Papa Francesco ha definito il Presepe e l’Albero di Natale donati per piazza San Pietro dalle diocesi di Verona e Catanzaro. Le delegazioni delle due città sono state ricevute stamane in udienza in Sala Clementina.
Il Santo Padre ha ringraziato tutti coloro che hanno cooperato, in vari modi, alla realizzazione del presepe con le statue di terracotta a grandezza naturale, donato dalla Fondazione Arena di Verona, e hanno favorito il trasporto del grande abete, offerto dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, insieme ad altri alberi destinati a diversi ambienti del Vaticano.
Essi – ha poi sottolineato – “esprimono le tradizioni e la spiritualità delle vostre Regioni. I valori del cristianesimo, infatti, hanno fecondato la cultura, la letteratura, la musica e l’arte delle vostre terre; e ancora oggi tali valori costituiscono un prezioso patrimonio da conservare e trasmettere alla future generazioni”.
Albero e presepe sono inoltre “segni natalizi sempre suggestivi e cari alle nostre famiglie cristiane” – ha proseguito il Pontefice -; “essi richiamano il Mistero dell’incarnazione, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo per salvarci, e la luce che Gesù ha portato al mondo con la sua nascita”.
Ma il presepe e l’albero “toccano il cuore di tutti, anche di coloro che non credono”, perché “parlano di fraternità, di intimità e di amicizia, chiamando gli uomini del nostro tempo a riscoprire la bellezza della semplicità, della condivisione e della solidarietà”.
Sono, dunque, “un invito all’unità, alla concordia e alla pace”, un invito – ha rimarcato Francesco – “a fare posto, nella nostra vita personale e sociale, a Dio, il quale non viene con arroganza ad imporre la sua potenza, ma ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo”. La loro funzione, in tal senso, è molto più che decorativa: entrambi sono “un messaggio di luce, di speranza e di amore”.
Al termine della breve udienza, il Papa ha augurato a tutti i presenti, alle loro famiglie e agli abitanti delle regioni Veneto e Calabria, “di trascorrere con serenità ed intensità il Natale del Signore”. “Egli, il Messia – ha soggiunto – si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi, per dissipare le tenebre dell’errore e del peccato, recando all’umanità la sua luce divina”.
Quindi, ha concluso esortando: “Seguiamo Lui, la luce vera, per non smarrirci e per riflettere a nostra volta luce e calore su quanti attraversano momenti di difficoltà e di buio interiore”.

Gesù Cristo è la vera gioia! Non occorre cercare altrove

angelus-papaÈ la “gioia” l’atteggiamento interiore che questa terza domenica di Avvento, la domenica “gaudete”, chiede ai fedeli in vista della nascita del Signore. La gioia, cioè, “che viene dalla vicinanza di Dio, dalla sua presenza nella nostra vita”, come ha spiegato Papa Francesco durante l’Angelus di oggi in piazza San Pietro.
È il Signore, infatti, l’unico a donare la gioia piena capace di ‘saziare’ l’animo umano. “Il cuore dell’uomo desidera” ardentemente questa gioia, “ogni famiglia, ogni popolo aspira alla felicità”, sottolinea il Santo Padre. Essa – aggiunge – si è infusa nel mondo “da quando Gesù è entrato nella storia”: con la sua nascita a Betlemme “l’umanità ha ricevuto il germe del Regno di Dio, come un terreno che riceve il seme, promessa del futuro raccolto”.
“Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre”, ribadisce dunque Papa Francesco. E “non si tratta di una gioia soltanto sperata o rinviata al paradiso”, bensì di una gioia “già reale e sperimentabile ora, perché Gesù stesso è la nostra gioia, come è la nostra pace. Lui è vivo, è il Risorto, e opera in noi e tra noi specialmente con la Parola e i Sacramenti”.
Il Papa cita la scritta su un cartello che spicca dalla folla: “Con Gesù la gioia è di casa”. “Tutti, diciamolo – esorta – ‘con Gesù la gioia è di casa’. Un’altra volta: ‘Con Gesù la gioia è di casa’. E senza Gesù c’è la gioia? No! Bravi! Lui è vivo, è il Risorto, e opera in noi e tra noi specialmente con la Parola e i Sacramenti”.
Allora, “non occorre più cercare altrove”, afferma Bergoglio. Ogni battezzato, ogni figlio della Chiesa, deve semplicemente “accogliere sempre nuovamente la presenza di Dio in mezzo a noi e ad aiutare gli altri a scoprirla, o a riscoprirla qualora l’avessero dimenticata”. Una missione “bellissima”, questa, osserva il Santo Padre, simile a quella di Giovanni Battista: “orientare la gente a Cristo – non a noi stessi! –perché è Lui la meta a cui tende il cuore dell’uomo quando cerca la gioia e la felicità”.
L’Apostolo Paolo esortava infatti ad essere “missionari della gioia”, indicandone anche le condizioni: “pregare con perseveranza, rendere sempre grazie a Dio, assecondare il suo Spirito, cercare il bene ed evitare il male”. Un vero e proprio “stile di vita”, evidenza il Papa, attraverso il quale “la Buona Novella potrà entrare in tante case e aiutare persone e famiglie a riscoprire che in Gesù c’è la salvezza”. Perché è tanta, troppa, la gente che ha bisogno di sapere oggi che in Cristo “è possibile trovare la pace interiore e la forza per affrontare ogni giorno le diverse situazioni della vita, anche quelle più pesanti e difficili”.
I Santi, i veri cristiani, avevano questa certezza, infatti – osserva il Santo Padre – “non si è mai sentito di un santo triste o di una santa con la faccia funebre. Mai si è sentito questo! Sarebbe un controsenso. Il cristiano è una persona che ha il cuore ricolmo di pace perché sa porre la sua gioia nel Signore anche quando attraversa i momenti difficili della vita. Avere fede non significa non avere momenti difficili ma avere la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli. E questa è la pace che Dio dona ai suoi figli”.
Allora, “con lo sguardo rivolto al Natale ormai vicino” – conclude il Pontefice -, la Chiesa ci invita “a testimoniare che Gesù non è un personaggio del passato; Egli è la Parola di Dio che oggi continua ad illuminare il cammino dell’uomo”, mostrando “tenerezza, consolazione e amore del Padre verso ogni essere umano” attraverso i “suoi gesti”, i Sacramenti.
In questo cammino, al nostro fianco c’è la Vergine Maria, “Causa della nostra gioia”: a Lei Francesco affida tutti i fedeli, affinché “ci renda sempre lieti nel Signore, che viene a liberarci dalle tante schiavitù interiori ed esteriori”.
Dopo la recita dell’Angelus, il Papa parla ai numerosi fedeli convenuti in piazza San Pietro. Prima saluta i fedeli polacchi, che oggi accendono la “candela di Natale” per riaffermare l’impegno di solidarietà nell’Anno della Caritas che si celebra in Polonia.
Poi si rivolge “con affetto” ai numerosissimi bambini del Centro Oratori Romani venuti per la tradizionale benedizione dei “Bambinelli”, le statuine di Gesù Bambino che i ragazzi metteranno nei presepi delle famiglie, delle scuole e delle parrocchie. “Cari bambini, – dice loro il Santo Padre – vi ringrazio della vostra presenza e vi auguro buon Natale! Quando pregherete a casa, davanti al vostro presepe, ricordatevi anche di me, come io mi ricordo di voi”. “La preghiera è il respiro dell’anima – soggiunge – ed è importante trovare dei momenti nella giornata per aprire il cuore a Dio, anche con le semplici e brevi preghiere del popolo cristiano”.
Proprio per questo il Papa fa dono ai piccoli e agli altri pellegrini di circa 50mila libretti preparati dalla Elemosineria Apostolica e pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana che i volontari distribuiscono nella Piazza. Si tratta di piccoli opuscoli tascabili che – spiega il Pontefice – “raccolgono alcune preghiere, per i vari momenti della giornata e per le diverse situazioni della vita”.
“Prendetene uno ciascuno e portatelo sempre con voi, come aiuto a vivere tutta la giornata uniti a Dio”, raccomanda. E conclude l’Angelus con la consueta richiesta e l’immancabile augurio: “A tutti voi un cordiale augurio di buona domenica e di buon pranzo. Non dimenticate, per favore, di pregare per me. Arrivederci!”.

Ai Membri della Commissione Teologica Internazionale

Cari fratelli e sorelle,

vi incontro con piacere all’inizio di un nuovo quinquennio – il nono – della Commissione Teologica Internazionale . Ringrazio il Presidente, Cardinale Müller , per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

La vostra Commissione nacque, poco dopo il Concilio Vaticano II , a seguito di una proposta del Sinodo dei Vescovi, affinché la Santa Sede potesse avvalersi più direttamente della riflessione di teologi provenienti da varie parti del mondo. La missione della Commissione è dunque quella di «studiare i problemi dottrinali di grande importanza, specialmente quelli che presentano aspetti nuovi, e in questo modo offrire il suo aiuto al Magistero della Chiesa» ( Statuti, art. 1 ). I ventisette documenti finora pubblicati sono testimonianza di questo impegno e un punto di riferimento per il dibattito teologico.

La vostra missione è di servire la Chiesa, il che presuppone non solo competenze intellettuali, ma anche disposizioni spirituali. Tra queste ultime, vorrei attirare la vostra attenzione sull’importanza dell’ascolto. «Figlio dell’uomo – disse il Signore al profeta Ezechiele – tutte le parole che ti dico ascoltale con gli orecchi e accoglile nel cuore» (Ez 3,10). Il teologo è innanzitutto un credente che ascolta la Parola del Dio vivente e l’accoglie nel cuore e nella mente. Ma il teologo deve mettersi anche umilmente in ascolto di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7), attraverso le diverse manifestazioni della fede vissuta del popolo di Dio. Lo ha ricordato il recente documento della Commissione su “ Il sensus fidei nella vita della Chiesa ”. È bello, Mi è piaciuto tanto quel documento, complimenti! Infatti, insieme a tutto il popolo cristiano, il teologo apre gli occhi e gli orecchi ai “segni dei tempi”. È chiamato ad «ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio – è quella che giudica, la parola di Dio – perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium e spes , 44).

In questa luce, all’interno della sempre più diversificata composizione della Commissione, vorrei notare la maggiore presenza delle donne – ancora non tanta… Sono le fragole della torta, ma ci vuole di più! – presenza che diventa invito a riflettere sul ruolo che le donne possono e devono avere nel campo della teologia. Infatti, «la Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini … Vedo con piacere come molte donne … offrono nuovi apporti alla riflessione teologica» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 103 ). Così, in virtù del loro genio femminile, le teologhe possono rilevare, per il beneficio di tutti, certi aspetti inesplorati dell’insondabile mistero di Cristo «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col 2,3). Vi invito dunque a trarre il migliore profitto da questo apporto specifico delle donne all’intelligenza della fede.

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Un’altra caratteristica della vostra Commissione è il suo carattere internazionale, che riflette la cattolicità della Chiesa. La diversità dei punti di vista deve arricchire la cattolicità senza nuocere all’unità. L’unità dei teologi cattolici nasce dal loro comune riferimento ad una sola fede in Cristo e si nutre della diversità dei doni dello Spirito Santo. A partire da questo fondamento e in un sano pluralismo, vari approcci teologici, sviluppatisi in contesti culturali differenti e con diversi metodi utilizzati, non possono ignorarsi a vicenda, ma nel dialogo teologico dovrebbero arricchirsi e correggersi reciprocamente. Il lavoro della vostra Commissione può essere una testimonianza di tale crescita, e anche una testimonianza dello Spirito Santo, perché è Lui a seminare queste varietà carismatiche nella Chiesa, diversi punti di vista, e sarà Lui a fare l’unità. Lui è il protagonista, sempre.

La Vergine Immacolata, come testimone privilegiata dei grandi eventi della storia della salvezza, «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19): Donna dell’ascolto, donna della contemplazione, donna della vicinanza ai problemi della Chiesa e della gente. Sotto la guida dello Spirito Santo e con tutte le risorse del suo genio femminile, Ella non ha smesso di entrare sempre più in «tutta la verità» (cfr Gv 16,13). Maria è così l’icona della Chiesa la quale, nell’impaziente attesa del suo Signore, progredisce, giorno dopo giorno, nell’intelligenza della fede, grazie anche al lavoro paziente dei teologi e delle teologhe. La Madonna, maestra dell’autentica teologia, ci ottenga, con la sua materna preghiera, che la nostra carità «cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento» (Fil 1,9-10). In questo cammino vi accompagno con la mia Benedizione e vi chiedo per favore di pregare per me. Pregare teologicamente, grazie.

Francesco: Chiesa si vanti di Dio non di se stessa

Papa Francesco coglie due tendenze sempre presenti nella storia della Chiesa. La Chiesa tentata dalla vanità e la “Chiesa povera”, che – afferma – “non deve avere altre ricchezze che il suo Sposo”, come l’umile donna del tempio:

“A me piace vedere in questa figura la Chiesa che è in certo senso un pò vedova, perché aspetta il suo Sposo che tornerà… Ma ha il suo Sposo nell’Eucaristia, nella Parola di Dio, nei poveri, sì: ma aspetta che torni, no? Questo atteggiamento della Chiesa… Questa vedova non era importante, il nome di questa vedova non appariva nei giornali. Nessuno la conosceva. Non aveva lauree… niente. Niente. Non brillava di luce propria. ­È quello che a me dice di vedere in questa donna la figura della Chiesa. La grande virtù della Chiesa dev’essere di non brillare di luce propria, ma di brillare della luce che viene dal suo Sposo. Che viene proprio dal suo Sposo. E nei secoli, quando la Chiesa ha voluto avere luce propria, ha sbagliato”.