Rosario raccomandato da Papa Francesco

Torna la Misericordina…

Rosario raccomandato da Papa Francesco

A quasi tre anni di distanza, è tornata oggi la “Misericordina”, il ‘medicinale’ per la salute del cuore e dell’anima che Papa Francesco aveva già distribuito durante l’Angelus del 17 novembre 2013. Anche oggi Francesco, dopo averla presentata dalla finestra del Palazzo Apostolico, ne ha donato 40mila confezioni ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per la preghiera mariana.

“La Quaresima è un tempo propizio per compiere un cammino di conversione che ha come centro la misericordia”, ha esordito il Pontefice, “perciò, oggi, ho pensato di regalare a voi che siete qui in piazza una ‘medicina spirituale’ chiamata ‘Misericordina’. Già una volta l’abbiamo fatto, ma questa è di migliore qualità: è la Misericordina plus. Una scatolina che contiene la corona del Rosario e l’immaginetta di Gesù Misericordioso”. “Accogliete questo dono – ha esortato Bergoglio – come un aiuto spirituale per diffondere, specialmente in questo Anno della Misericordia, l’amore, il perdono e la fraternità”.

A distribuire gratuitamente la “Misericordina” sono stati ancora una volta i poveri, i senzatetto, e i profughi, insieme a molti volontari e religiosi, guidati dalla Elemosineria apostolica.

Le scatole del “medicinale spirituale”, del tutto simili a quella dei farmaci, contengono ciascuna il ‘bugiardino’ con la posologia e le istruzioni d’uso, in tre lingue, la coroncina della divina Misericordia di Santa Faustina Kowalska, composta da 59 grani intracordiali, e l’immagine di Gesù misericordioso.

L’iniziativa nasce in Polonia da un’idea dei seminaristi polacchi devoti a Santa Faustina, la suora iniziatrice del culto della “Divina misericordia”, che tanto ha influenzato San Giovanni Paolo II. A promuoverla ora, come nel 2013, è l’elemosiniere pontificio, mons. Konrad Krajevski, il quale l’avevaa presentata al Papa che, entusiasta, ne aveva approvato la distribuzione.

Furono circa 20mila le coroncine distribuite tre anni fa. Presentandola allora, Papa Bergoglio disse: “Non voglio fare il farmacista, ma voglio consigliare a tutti un medicina speciale, utile a concretizzare i frutti dell’Anno della Fede, che volge al termine. C’è una corona del Rosario con la quale si può pregare anche la ‘coroncina della Divina Misericordia’, aiuto spirituale per la nostra anima e per diffondere ovunque l’amore, il perdono e la fraternità”. “Non dimenticatevi di prenderla – aveva raccomandato il Santo Padre – perché fa bene al cuore, all’anima, a tutta la vita”.

Il Papa apre il Giubileo: “Facciamo nostra la misericordia del buon samaritano”

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Due ante in oro e bronzo che si spalancano e nel mondo si diffonde la misericordia di Dio. Il Papa ha aperto la Porta Santa della Basilica di San Pietro. È iniziato il Giubileo! Il primo Anno Santo ‘tematico’ della storia della Chiesa; il primo preceduto dall’apertura di un’altra Porta Santa, quella semplice in legno e mattoni della cattedrale di Bangui; il primo Giubileo globale che non si concentrerà solo a Roma ma coinvolgerà le diocesi del mondo.

L’apertura della Porta Santa. Insieme a Benedetto XVI

Francesco compie il rito al termine della Santa Messa, intorno alle 11, vegliato alle sue spalle dal Papa emerito Benedetto XVI, seduto nell’atrio, che ha voluto accompagnare il suo successore in questo passo importante e travagliato nei mesi di preparazione da scandali e paure. Bergoglio lo abbraccia con affetto, poi si dirige verso il grande portone in bronzo davanti al quale si ferma per alcuni istanti. E la mente non può non tornare all’immagine di un Giovanni Paolo II chino e sofferente che accompagnava la Chiesa nel terzo millennio con il Giubileo del 2000.

Papa Francesco pronuncia la formula: “Per la tua grande Misericordia entrerò nella Tua casa Signore, apritemi le porte della giustizia!”. Poi spinge un po’ a stento il muro della porta e ne spalanca le ante. Prima di varcarla, il Successore di Pietro sosta in preghiera, in piedi, sulla soglia. Entra poi solo, per primo, in Basilica, reggendo la croce astile, mentre il coro canta il Te Deum laudamus. Seguono Ratzinger sorretto da mons. Georg Ganswein, dai concelebranti e da alcuni rappresentanti di sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici che processionalmente si recano all’Altare della Confessione, dove si svolge il rito conclusivo della Messa.

50mila fedeli in piazza in preghiera. Anche musulmani. 2.500 militari

Intanto in una piazza San Pietro bagnata da una pioggia leggera, i fedeli – 50mila, secondo le prime stime – cantano e pregano per il Santo Padre e per questo Anno straordinario appena avviato. Lo hanno fatto dalle 6.30 di questa mattina, orario di apertura dei varchi, in una piazza blindata da 2.500 militari, mille agenti, 900 vigili volontari. La paura degli attentati, la lentezza dei controlli, la fatica mattutina vengono dopo; prima c’è un rendimento di grazie a Dio per la sua misericordia. Abbracciati dal colonnato del Bernini, sotto l’occhio di 250 telecamere, i pellegrini pregano quindi il rosario in attesa di varcare la Porta Santa. Insieme a loro ci sono anche alcuni musulmani appartenenti al Co-mai, le comunità del mondo arabo in Italia che hanno lanciato oggi l’hashtag #TuttiUnitiperilGiubileo, per fare gli auguri a Francesco e a tutti i cristiani, condannando ogni forma di terrorismo e violenza.

La Messa nel segno del Vaticano II

La Messa è iniziata alle 9.23 con la processione dei sacerdoti che portano l’Evangeliario della Misericordia. Seguono i vescovi e i cardinali in bianco e, dopo due minuti, entra Papa Francesco. La celebrazione si apre nel segno del Concilio Vaticano II, essendone il 50° anniversario della chiusura; si leggono quindi alcuni brani delle quattro costituzioni (Dei Verbum, Lumen gentium, Sacrosanctum concilium e Gaudium et spes), e due brani tratti rispettivamente dalla Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e dalla Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Alla celebrazione sono presenti anche il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella con la figlia Laura, e il premier Matteo Renzi con la moglie. Alla sinistra dell’altare papale, anche una fila di imam.

L’omelia del Papa“Anteporre la misericordia al giudizio” 

Storia e fede si intrecciano poi nell’omelia del Santo Padre, pronunciata prima di compiere il gesto “tanto semplice quanto fortemente simbolico” dell’apertura della Porta Santa, che “pone in primo piano il primato della grazia”. Francesco riflette anzitutto sulla figura di Maria, nella Solennità dell’Immacolata Concezione di oggi, a partire da quel “Rallegrati” che l’arcangelo Gabriele rivolge a “una giovane ragazza, sorpresa e turbata”, chiamata tuttavia “a gioire per quanto il Signore ha compiuto in lei”.  “Quando Gabriele entra nella sua casa, anche il mistero più profondo, che va oltre ogni capacità della ragione, diventa per lei motivo di gioia, di fede e di abbandono alla parola che le viene rivelata”, dice il Papa. “La pienezza della grazia è in grado di trasformare il cuore, e lo rende capace di compiere un atto talmente grande da cambiare la storia dell’umanità”.

Questa festa dell’Immacolata esprime quindi “la grandezza dell’amore di Dio”, che non solo “perdona il peccato”, ma in Maria “giunge fino a prevenire la colpa originaria, che ogni uomo porta con sé entrando in questo mondo”. È quindi “l’amore di Dio che previene, che anticipa e che salva”, sottolinea il Pontefice. Un amore che salva nonostante la quotidiana “tentazione della disobbedienza” che si esprime “nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio”.

“È questa – afferma il Papa – l’inimicizia che attenta continuamente la vita degli uomini per contrapporli al disegno di Dio. Eppure – aggiunge – anche la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’amore che perdona. Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature, mentre la promessa della vittoria dell’amore di Cristo rinchiude tutto nella misericordia del Padre”.

Per questo l’Anno Santo Straordinario è un “dono di grazia”. “Entrare per quella Porta – sottolinea il Papa – significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente”. Sarà dunque un Anno “in cui crescere nella convinzione della misericordia”: “Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia!”, esclama Francesco. Bisogna invece “anteporre la misericordia al giudizio” aggiunge, “e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia”. Esorta quindi ad abbandonare “ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato”. “Viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma”.

Il Vaticano II: “Un incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo”

In conclusione un ricordo del Vaticano II, “un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio spalancarono verso il mondo”. Una scadenza – osserva Bergoglio – che “non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede”. In primo luogo, il Concilio è stato “un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo”, che, segnato dalla forza dello Spirito, “spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario”. “Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… – dice il Santo Padre – dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo”.

Dunque “una spinta missionaria”, che dopo questi decenni la Chiesa del Papa argentino riprende “con la stessa forza e lo stesso entusiasmo”, con uno spirito che è quello del buon Samaritano. Uno spirito, cioè, di misericordia che Francesco auspica possa essere la missione di tutti i cristiani in questi dodici mesi di grazia: “Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano”.

Alencherry: “Meglio una Chiesa ammaccata che però esce per strada…”

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È stato il cardinale indiano George Alencherry a tenere, questa mattina, la meditazione quotidiana prima dell’inizio della terza Congregazione generale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Alla presenza di Papa Francesco, il porporato, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi e presidente del Sinodo della Chiesa Siro-Malabarese, ha commentato i brani biblici della liturgia odierna, a partire dalla lettura di Geremia(Ger 22, 3) in cui il profeta annuncia alla famiglia reale di Giuda le rovine che potrebbero cadere sul Regno, se il Re non avesse reso giustizia alla giustizia e salvato gli oppressi dalla mano dell’oppressore.

Un brano, che “ci offre un messaggio ben applicabile per l’obiettivo delle nostre deliberazioni sinodali sulla famiglia”, ha detto Alencherry. In particolare, ha sottolineato, “le parole del profeta possono riferirsi ai governanti e ai leader di ogni tempo e anche alle persone da loro governate. In molti paesi del mondo le persone vengono private della giustizia a causa della promozione di individualismo, dell’edonismo e oppresse da valori secolarizzati e linee di azione”.

In tal contesto, il cardinale si è domandato “se i vertici della Chiesa si siano fatti avanti con un ruolo profetico come quello di Geremia, per sostenere il popolo con la Parola di Dio e la testimonianza personale”, oppure no. Geremia – ha proseguito – soffrì la solitudine per il suo ruolo profetico, così anche “i pastori della Chiesa del presente sono chiamati ad assumere nella loro vita un ruolo profetico della sofferenza e della kenosi, simile a quella di Geremia”.

Una solitudine che si è tradotta nei secoli successivi nel celibato sacerdotale: “un segno” in epoca cristiana, ha evidenziato il prelato indiano. “Geremia non ha sperimentato il profondo amore di una sposa, per la sposa, Israele, ha respinto l’amore del Signore. Egli deve sperimentare la solitudine, come il Signore sperimenta la solitudine”.

Ciò non significa che la Chiesa debba rimanere “confinata” al proprio interno. Anzi – ha affermato Alencherry, ribadendo l’invito di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium – meglio una Chiesa “ammaccata, danneggiata e sporca perché è stata fuori per le strade, piuttosto che una Chiesa sana ma aggrappata alle proprie sicurezze”.

“Più che dalla paura di andare fuori strada – ha quindi concluso il porporato – la mia speranza è che saremo mossi dalla paura di rimanere rinchiusi all’interno di strutture che ci danno un falso senso di sicurezza, entro regole che ci fanno i giudici duri, entro le abitudini che ci fanno sentire al sicuro, mentre alla nostra porta ci sono persone che stanno morendo di fame e Gesù non si stanca di dire a noi: Date loro voi stessi da mangiare (Mc 6,37)“.

Essere cristiano non è un po truccarsi l’anima, ma servire

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“Storia” di peccato e di grazia. E “servizio” agli altri o a sé stessi. Su questi “due tratti dell’identità del cristiano” si snoda l’omelia di Papa Francesco nella Messa a Santa Marta di oggi. La storia perché “il cristiano è uomo e donna di storia, perché non appartiene a se stesso, è inserito in un popolo, un popolo che cammina”, sottolinea.

“Non si può pensare in un egoismo cristiano, no, questo non va – ammonisce il Pontefice -. Il cristiano non è un uomo, una donna spirituale di laboratorio, è un uomo, è una donna spirituale inserita in un popolo, che ha una storia lunga e continua a camminare fino a che il Signore torni”.

San Paolo, San Pietro e tutti i primi discepoli “non annunziavano un Gesù senza storia: loro annunziavano Gesù nella storia del popolo, un popolo che Dio ha fatto camminare da secoli per arrivare alla pienezza dei tempi”.

Dio, infatti, si pone al fianco del suo popolo ed entra in questa “storia di grazia, ma anche storia di peccato”. “Quanti peccatori, quanti crimini”, esclama il Papa e, in riferimento alle letture della Liturgia odierna, aggiunge: “Anche oggi Paolo menziona il Re Davide, santo, ma prima di diventare santo è stato un grande peccatore. Un grande peccatore…”.

“La nostra storia deve assumere santi e peccatori”, afferma il Santo Padre. “E la mia storia personale, di ognuno, deve assumere il nostro peccato, il proprio peccato e la grazia del Signore che è con noi, accompagnandoci nel peccato per perdonare e accompagnandoci nella grazia”.

Dunque, “non c’è identità cristiana senza storia”, ribadisce Bergoglio. Non c’è neanche, però, senza servizio, perché proprio quello il più grande insegnamento che ci ha trasmesso Cristo: “Gesù lava i piedi ai discepoli invitandoci a fare come Lui: servire”.

Quindi, “l’identità cristiana è il servizio, non l’egoismo”, rimarca il Pontefice. “‘Ma padre, tutti siamo egoisti’. Ah sì? È un peccato, è un’abitudine dalla quale dobbiamo staccarci”. E dobbiamo anche “chiedere perdono, che il Signore ci converta”.

Francesco insiste: “Siamo chiamati al servizio”, perché “essere cristiano non è un’apparenza o anche una condotta sociale, non è un po’ truccarsi l’anima, perché sia un po’ più bella. Essere cristiano è fare quello che ha fatto Gesù: servire”.

Da cristiani, allora, farà bene porci oggi questa domanda: “Nel mio cuore cosa faccio di più? Mi faccio servire dagli altri, mi servo degli altri, della comunità, della parrocchia, della mia famiglia, dei miei amici o servo, sono al servizio di?”.

Città del Vaticano 30 Aprile 2015.

Il Papa telefona al parroco di Catania autore del volume “Salviamo la famiglia”

Città del Vaticano 26 ottobre 2013. Il Santo Padre Papa Francesco incontra le Famiglie.
Città del Vaticano 26 ottobre 2013. Il Santo Padre Papa Francesco incontra le Famiglie.

Era già avvenuto nel mese luglio dello scorso anno quando Papa Francesco ha telefonato a don Antonio Legname, parroco a Catania, a seguito della pubblicazione del volume “Francesco il traghettatore di Dio -Sulla rotta del Concilio, tra continuità e novità. Una bussola per i lontani”, una summa di dottrina cattolica di “ecclesiologia popolare” che dà voce al magistero di Papa Francesco. In quell’occasione il Papa ha detto a don Legname: “Volevo scriverle due parole per ringraziarla, ma poi ho preferito telefonare; sono contento, non perché ha scritto su di me, ma perché ha scritto sulla Chiesa e ha fatto questa ecclesiologia dal basso. A partire dal popolo. Sì bisogna far parlare il popolo … perché l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere”. La stessa emozione si è ripetuta domenica scorsa, come dichiara lo stesso parroco in un comunicato ai suoi parrocchiani: “Oggi, 28 giugno, alle ore 16.28, ho ricevuto la telefonata del Santo Padre, Papa Francesco, sul mio cellulare con numero sconosciuto. Il Santo Padre mi ha voluto ringraziare per la pubblicazione del libro ‘Salviamo la famiglia, tesoro e patrimonio dell’umanità – Dialogando con Papa Francesco sull’ecologia umana dell’ambiente familiare’”. Il volume condensa in 450 pagine un dialogo virtuale con il Papa sui problemi della famiglia oggi, e costituisce quasi un approfondimento dell’Instrumentum laboris consegnato ai Vescovi in preparazione al Sinodo di ottobre sul tema: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Nel corso della telefonata come dichiara lo stesso parroco, il Pontefice ha chiesto: «Don Antonio ma da dove prende tutte queste ispirazioni per scrivere?». E lui ha risposto: “Le prendo dalla vita quotidiana della gente e dagli insegnamenti quotidiani di Vostra Santità, che per me sono fonte continua di riflessione e di ispirazione”. Papa Francesco ha molto apprezzato il lavoro prodotto, ritenendolo una “interessante sintesi”, ricca di “tanti spunti presi dalla vita reale”. “Questo è un libro che può aiutare la gente a capire tante questioni”, ha affermato il Santo Padre. L’uso del linguaggio semplice e colloquiale caratterizza, infatti, il libro nel quale il giovane Thomas intervista in maniera virtuale Papa Bergoglio sulle problematiche della famiglia di oggi, traendo spunto dalle sua esperienza di bambino che spesso chiedeva alla mamma (divorziata risposata): “Perché non fai comunione anche tu?”, ed ella mortificata rispondeva: “Chiedilo al Papa”. Le parole virgolettate nell’intervista virtuale sintetizzano il ricco magistero di Papa Francesco sulla famiglia attraverso parole come “accoglienza, attenzione, misericordia”, caratterizzando l’azione pastorale che anima e guida il prossimo Sinodo, pur mantenendo fermi i principi e i valori dell’indissolubilità del matrimonio. La telefonata si è conclusa con la domanda di don Antonio: “Posso dire ai miei parrocchiani che mi ha telefonato il Papa?”. E Francesco ha risposto «Può dire alla sua comunità parrocchiale che le ho telefonato e che benedico tutti». Grande la gioia e l’emozione dei fedeli a seguito della comunicazione del sacerdote, i quali numerosi la domenica precedente (21 giugno), al termine della Messa, avevano partecipato alla presentazione del volume alla presenza dell’arcivescovo di Catania, mons. Salvatore Gristina, che ha anche firmato la prefazione dei due volumi. Nel corso della presentazione, avvenuta nel modo originale di “intervista all’autore”, sono emerse tutte le problematiche connesse alle emergenze familiari: dalla bellezza del matrimonio alle difficoltà di relazione nelle coppie; dalla preparazione al matrimonio come rito e sacramento alle problematiche delle separazioni, dei divorzi e della richiesta di nullità matrimoniali; dalla diffusione delle “colonizzazioni ideologiche” delle teorie gender, alle unioni civili e tra persone dello stesso sesso. Queste due ultime tematiche, collocate come “appendici” al volume, costituiscono nuovi campi di approfondimento sul tema della famiglia, che come “patrimonio dell’umanità” necessita di cure attenzioni sociale e sostegni politici e non formule di apparente progresso che determinano lo sfaldamento della solida base della società umana. Le esortazioni “salviamo e difendiamo la famiglia”, contenute nel volume, tendono ancora una volta ad affermare che la famiglia, pietra d’angolo e fondamento della società, costituisce il centro, il cuore e il motore del mondo, ancora di salvezza e garanzia di futuro.

Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina

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C’è un filo conduttore che lega la catechesi del Papa di ieri, durante l’Udienza generale del mercoledì, e il discorso di stamane ai partecipanti alla XXI Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, al via oggi in Vaticano sul tema: “L’assistenza agli anziani e le cure palliative”.

Ieri il Pontefice denunciava l’indifferenza che gli anziani subiscono nel mondo di oggi, spesso soli e abbandonati dai loro stessi familiari. Oggi, in Sala Clementina, amplia lo sguardo e rimprovera non solo i figli che tradiscono i comandamenti biblici ‘trascurando o maltrattando’ i genitori, ma anche lo Stato stesso che specula sulle cure e le medicine di cui necessitano molti anziani.

In particolare, il Pontefice concentra la sua riflessione sulle cure palliative, tema dell’assemblea, le quali – dice – “sono espressione dell’attitudine propriamente umana a prendersi cura gli uni degli altri, specialmente di chi soffre”. Esse – soggiunge – “testimoniano che la persona umana rimane sempre preziosa, anche se segnata dall’anzianità e dalla malattia”.

In qualsiasi circostanza, infatti, “la persona è un bene per sé stessa e per gli altri ed è amata da Dio”, anche “quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell’esistenza terrena”. Anzi proprio in quel momento “sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore”, sottolinea Bergoglio.

D’altronde è la Bibbia stessa a chiedere di onorare i genitori, rammentando “l’onore che dobbiamo a tutte le persone anziane”. Ciò – evidenzia il Santo Padre – “assicura non solo il dono della terra, ma soprattutto la possibilità di goderne”. Vi è infatti una “relazione pedagogica” tra genitori e figli, anziani e giovani, in riferimento “alla custodia e alla trasmissione dell’insegnamento religioso e sapienziale alle generazioni future”.

Onorare perciò questo insegnamento e coloro che lo trasmettono “è fonte di vita e di benedizione”. Laddove la Bibbia riserva invece una maledizione contro “coloro che trascurano o maltrattano i genitori”. “Lo stesso giudizio – afferma Francesco – vale oggi quando i genitori, divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all’abbandono”.

Nella società contemporanea in particolare, “la logica dell’utilità prende il sopravvento su quella della solidarietà e della gratuità, persino all’interno delle famiglie”, rileva il Papa. “Onorare”, quindi, assume oggi i connotati di un obbligo morale ad “avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o ‘fatto morire’”.

La medicina, soprattutto, è “testimone dell’onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano”, rimarca Bergoglio, spiegando che “evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina. Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana”.

Rivolgendosi poi ai presenti, Francesco ricorda come le cure palliative siano state finora “un prezioso accompagnamento per i malati oncologici”. Oggi, però, lo scenario è cambiato e “sono molte e variegate le malattie, spesso legate all’anzianità, caratterizzate da un deperimento cronico progressivo e che possono avvalersi di questo tipo di assistenza”.

Gli anziani hanno bisogno perciò in primo luogo delle “cure dei familiari”, “il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più competenti e caritatevoli”. Quando “non autosufficienti o con malattia avanzata o terminale”, infatti, essi “possono godere di un’assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze grazie alle cure palliative offerte ad integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari”.

Anche perché “l’abbandono è la ‘malattia’ più grave dell’anziano, e anche l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto”.

Il Papa loda quindi l’impegno scientifico e culturale “per assicurare che le cure palliative possano giungere a tutti coloro che ne hanno bisogno”. E soprattutto incoraggia “i professionisti e gli studenti a specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede meno valore per il fatto che ‘non salva la vita’”. Le cure palliative, infatti, “realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona”. E “ogni conoscenza medica – ricorda il Papa – è davvero scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che non si raggiunge mai ‘contro’ la sua vita e la sua dignità”.

È proprio su “questa capacità di servizio alla vita e alla dignità della persona malata, anche quando anziana”, che si misura “il vero progresso della medicina e della società tutta”, conclude Francesco. E con un impeto di cuore fa sue le parole di San Giovanni Paolo II: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!».

Sulla scia della paternità…(II)

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Torna a parlare di “padri”, Bergoglio nella sua catechesi durante l’Udienza generale di oggi, svoltasi in Aula Paolo VI e non in piazza San Pietro a causa del maltempo. Se lo scorso mercoledì, il Pontefice illustrava le conseguenze negative della “assenza” della figura paterna sugli equilibri familiari, questa volta volge il discorso in positivo e si sofferma sul valore del ruolo del padre.

Un padre presente, attento ai bisogni della sua famiglia, come San Giuseppe “uomo giusto”, il quale, nonostante le difficoltà e l’iniziale tentazione di lasciare Maria, “prese con sé la sua sposa” e compì fino in fondo la sua “missione di padre putativo”.

Il Papa cita quindi le parole di un padre al proprio figlio contenute nel Libro dei Proverbi: «Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio, anche il mio sarà colmo di gioia. Esulterò dentro di me, quando le tue labbra diranno parole rette». “Non si potrebbe esprimere meglio l’orgoglio e la commozione di un padre che riconosce di avere trasmesso al figlio quel che conta davvero nella vita, ossia un cuore saggio”, commenta il Pontefice.

“Questo padre – soggiunge – non dice: ‘Sono fiero di te perché sei proprio uguale a me, perché ripeti le cose che dico e che faccio io’.No! Gli dice qualcosa di ben più importante: ‘Sarò felice ogni volta che ti vedrò agire con saggezza, e sarò commosso ogni volta che ti sentirò parlare con rettitudine”.

Ciò che questo padre dei Proverbi ha voluto lasciare a suo figlio è “l’attitudine a sentire e agire, a parlare e giudicare con saggezza e rettitudine”, perché, dice, “diventasse una cosa tua” e perché “tu potessi essere così”.

“Ti ho insegnato cose che non sapevi, ho corretto errori che non vedevi – prosegue Francesco nella sua appassionata interpretazione -. Ti ho fatto sentire un affetto profondo e insieme discreto, che forse non hai riconosciuto pienamente quando eri giovane e incerto. Ti ho dato una testimonianza di rigore e di fermezza che forse non capivi, quando avresti voluto soltanto complicità e protezione. Ho dovuto io stesso, per primo, mettermi alla prova della saggezza del cuore, e vigilare sugli eccessi del sentimento e del risentimento, per portare il peso delle inevitabili incomprensioni e trovare le parole giuste per farmi capire. Adesso, quando vedo che tu cerchi di essere così con i tuoi figli, e con tutti, mi commuovo. Sono felice di essere tuo padre”.

“È così quello che dice un padre saggio, un padre maturo”, annota il Pontefice. Un padre che “sa bene quanto costa trasmettere questa eredità: quanta vicinanza, quanta dolcezza e quanta fermezza”. Tuttavia è incomparabile la “consolazione” e la “ricompensa” che si riceve “quando i figli rendono onore a questa eredità!”: è “una gioia che riscatta ogni fatica, che supera ogni incomprensione e guarisce ogni ferita”, sottolinea il Santo Padre.

Ma affinché tutto questo si realizzi, è necessario anzitutto che “il padre sia presente nella famiglia. Che sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E che sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada”.

Dunque, “padre presente, sempre”, rimarca Bergoglio. Presente che però non significa “controllore”, precisa, “perché i padri troppo controllori annullano i figli, non li lasciano crescere!”. L’esempio supremo è il “Padre che sta nei cieli”, il solo, dice Gesù Cristo, che può essere chiamato veramente “Padre buono”. Poi ci sono altri modelli da seguire, di cui ci parla la Scrittura. Uno è “quella straordinaria parabola chiamata del ‘figlio prodigo’ o meglio del ‘padre misericordioso’” nel Vangelo di Luca, rileva il Papa.

“Quanta dignità e quanta tenerezza nell’attesa di quel padre che sta sulla porta di casa aspettando che il figlio ritorni!”, osserva. Ed esorta i padri ad “essere pazienti”, perché “tante volte non c’è altra cosa da fare che aspettare; pregare e aspettare con pazienza, dolcezza, magnanimità, misericordia”.

“Un buon padre, infatti, sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore”; allo stesso tempo “sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi”. “Una volta – aggiunge Francesco a braccio – ho sentito in una riunione di matrimonio un papà dire: ‘Io alcune volte devo picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli’ … Ha senso della dignità…”.

Vivere la paternità così pienamente tuttavia è impossibile senza “la grazia che viene dal Padre che sta nei cieli”. Qualora essa manchi – avverte il Papa – “i padri perdono coraggio, e abbandonano il campo”. Invece “i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno; e il non trovarlo apre in loro ferite difficili da rimarginare”.

Accanto a questi papà c’è sempre una mamma – conclude Papa Francesco – che è la Chiesa, “impegnata a sostenere con tutte le sue forze la presenza buona e generosa dei padri nelle famiglie, perché essi sono per le nuove generazioni custodi e mediatori insostituibili della fede nella bontà, della fede nella giustizia e nella protezione di Dio, come san Giuseppe”.