Alencherry: “Meglio una Chiesa ammaccata che però esce per strada…”

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È stato il cardinale indiano George Alencherry a tenere, questa mattina, la meditazione quotidiana prima dell’inizio della terza Congregazione generale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Alla presenza di Papa Francesco, il porporato, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi e presidente del Sinodo della Chiesa Siro-Malabarese, ha commentato i brani biblici della liturgia odierna, a partire dalla lettura di Geremia(Ger 22, 3) in cui il profeta annuncia alla famiglia reale di Giuda le rovine che potrebbero cadere sul Regno, se il Re non avesse reso giustizia alla giustizia e salvato gli oppressi dalla mano dell’oppressore.

Un brano, che “ci offre un messaggio ben applicabile per l’obiettivo delle nostre deliberazioni sinodali sulla famiglia”, ha detto Alencherry. In particolare, ha sottolineato, “le parole del profeta possono riferirsi ai governanti e ai leader di ogni tempo e anche alle persone da loro governate. In molti paesi del mondo le persone vengono private della giustizia a causa della promozione di individualismo, dell’edonismo e oppresse da valori secolarizzati e linee di azione”.

In tal contesto, il cardinale si è domandato “se i vertici della Chiesa si siano fatti avanti con un ruolo profetico come quello di Geremia, per sostenere il popolo con la Parola di Dio e la testimonianza personale”, oppure no. Geremia – ha proseguito – soffrì la solitudine per il suo ruolo profetico, così anche “i pastori della Chiesa del presente sono chiamati ad assumere nella loro vita un ruolo profetico della sofferenza e della kenosi, simile a quella di Geremia”.

Una solitudine che si è tradotta nei secoli successivi nel celibato sacerdotale: “un segno” in epoca cristiana, ha evidenziato il prelato indiano. “Geremia non ha sperimentato il profondo amore di una sposa, per la sposa, Israele, ha respinto l’amore del Signore. Egli deve sperimentare la solitudine, come il Signore sperimenta la solitudine”.

Ciò non significa che la Chiesa debba rimanere “confinata” al proprio interno. Anzi – ha affermato Alencherry, ribadendo l’invito di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium – meglio una Chiesa “ammaccata, danneggiata e sporca perché è stata fuori per le strade, piuttosto che una Chiesa sana ma aggrappata alle proprie sicurezze”.

“Più che dalla paura di andare fuori strada – ha quindi concluso il porporato – la mia speranza è che saremo mossi dalla paura di rimanere rinchiusi all’interno di strutture che ci danno un falso senso di sicurezza, entro regole che ci fanno i giudici duri, entro le abitudini che ci fanno sentire al sicuro, mentre alla nostra porta ci sono persone che stanno morendo di fame e Gesù non si stanca di dire a noi: Date loro voi stessi da mangiare (Mc 6,37)“.